sabato 28 aprile 2018

I MITI UNIVERSALI – 3° Parte



I MITI UNIVERSALI – 3° Parte 

 



IL MITO DEL SERPENTE


Storia dell'archetipo del serpente, dalle civiltà neolitiche all'epoca ariana.


da Joseph Campbell ''The Masks of God: Occidental Mithology" 




La Dea Madre Eva

Chiunque abbia un minimo di conoscenza dei miti della Dea Madre nei mondi primitivi, antichi ed orientali non può non vedere che la Bibbia ne contiene dei riscontri in ogni sua pagina, che assumono tuttavia una valenza opposta a quella delle fedi più antiche. Nella scena di Eva e dell'albero della conoscenza non si fa nessun accenno al fatto della, natura divina del serpente che appare ad Eva e le parla e che è una divinità adorata in Oriente per almeno settemila anni prima che venisse scritto il libro della Genesi.

Al Louvre c'è un vaso scolpito, di steatite verde, con un'inscrizione del 2025 a.C. del Re Gudea di Lagash, dedicata a una tarda manifestazione sumera di questo consorte della dea, che ha come titolo Ningizzida, "Signore dell'Albero della Verità". Due vipere che si accoppiano intrecciate tra loro attorno a un bastone, come nel caduceo di Hermes, il dio greco della conoscenza mistica e della rinascita, appaiono su due porte che si schiudono, trattenute da due dragoni alati del tipo noto come leone - uccello.

La meravigliosa capacità del serpente di perdere la pelle e rinnovare in tal modo la sua giovinezza gli è valso in tutto il mondo l'appellativo di signore del mistero della rinascita di cui la luna, con le sue fasi, rappresenta il segno celestiale. La luna è la signora e la misura del ritmo, dell'utero, creatore di vita, e dunque del tempo attraverso cui gli esseri viventi vanno e vengono: signora del mistero della nascita e parimenti della morte che sono in definitiva, due aspetti di un unico stato dell'essere.

La luna è la signora delle maree e della rugiada che la notte scende a rinfrescare la vegetazione sui cui pascolano gli armenti. Ma anche il serpente è il signore delle acque. Dimorando nella terra, tra le radici degli alberi, frequentando sorgenti, paludi e corsi d'acqua, scorre silenzioso con moto sinuoso; oppure ascende come una liana tra i rami degli alberi, da cui pende come un frutto di morte. La suggestione fallica è immediata e richiama anche l'organo femminile; per cui si ha un'immagine duale che opera implicitamente sui sentimenti. Similmente duale è l'associazione col fuoco e con l'acqua, suggerita dalla fulmineità con cui colpisce, dai lampi della sua lingua biforcuta e dal fuoco letale del suo veleno. Quando lo si immagina poi mentre si morde la coda, come l'uroboro mitologico, sorge immediata l'immagine delle acque che in tutte le cosmologie arcaiche circondano, sostengono e permeano la terra, rappresentata come un'isola galleggiante.


Il serpente del paradiso

Un vaso verniciato Elamico dell'ultimo periodo Sassanidico (226 641 d.C.), mostra di nuovo l'antico guardiano dell'Albero del Mondo, attorcigliato sul tronco. In tal forma è evidente l'aspetto minaccioso. Tuttavia come il serpente del Paradiso terrestre Ningizzida è in genere amichevole verso chi, con dovuto rispetto, si accosta alle benedizioni del suo santuario.

Un sigillo accadico del 2350 - 2150 A.C visua1izza la divinità in forma umana sul suo trono, col suo emblema caduceo alle spalle e un altare di fuoco davanti. Alla sua presenza viene condotto un devoto, il padrone del sigillo, seguito da una figura che porta un secchio, con un serpente che gli pende dal capo: un servitore del dio in trono, che corrisponde ai portatori (leoni - uccelli) della coppa di Gudea. La luna, fonte delle acque della vita, sta sospesa sopra la coppa sollevata dalla mano del dio, da cui l'iniziato sta per bere.

Qui l'associazione tra signore serpente, coppa dell'immortalità e luna è del tutto ovvia; e cosi il motivo, comune a tutte le antiche mitologie, ossia la comparsa simultanea di un dio nel suo aspetto superiore e in quello interiore. Perché l'uomo di fatica presso la porta, che ammette o esclude gli aspiranti, non è altro che una manifestazione del Potere della divinità stessa. E' il primo aspetto in cui si manifesta a chi si avvicini alla sua presenza; o, messa in altro modo, l'aspetto inquisitore del dio. Inoltre il dio ed anche la sua forma scrutinatrice possono apparire in una o più forme, contemporaneamente: in forma antropomorfa, teriomorfa, vegetale, celeste o elementare, come appunto in questo esempio: uomo, serpente, albero, luna e l'acqua della vita da individuare come aspetti di un unico principio polimorfico simbolizzato in tutte le forme e che al tempo stesso le trascende.


Il giardino della vita eterna

Altri tre sigilli portano questi simboli in relazione con la Bibbia. I1 primo è un elegante esempio siro-ittita, raffigurante l'eroe mesopotamico Gilgamesh in una manifestazione duale, proprio come guardiano di un santuario, alla maniera dei leoni - uccelli della coppa di Gudea. Ma ciò che troviamo all'interno del santuario è una forma né umana né animale né vegetale: è una colonna fatta da cerchi serpentini, che reca alla sua sommità un simbolo del sole. Tale palo o pertica sta a simboleggiare il fulcro attorno a cui tutte le cose ruotano (axis mundi) e costituisce quindi un equivalente dell'Albero dell'Illuminazione dei buddisti, posto nel "Punto Immobile" al centro dell'Universo. Attorno al simbolo del sole, sopra alla colonna, si vedono quattro cerchietti, che come sappiamo simboleggiano i quattro fiumi che scorrono verso i quattro quadranti del mondo (si confronti il Libro della Genesi, 2:10-14). Da sinistra si avvicina il padrone del sigillo, condotto da un leone - uccello (o cherubino, come si chiamano tali apparizioni nella Bibbia) che nella mano sinistra porta un secchio e nella destra solleva un ramo. Segue una dea, nel ruolo di madre mistica della rinascita, e sotto c'è una rabescatura, un motivo labirintico che in questa iconografia corrisponde al caduceo. Di nuovo possiamo qui riconoscere i consueti simboli del mitico giardino della vita, dove il serpente, l'albero, l'asse del mondo, il sole eterno e le acque sempiterne irradiano la loro grazia in tutte le quattro direzioni e verso cui è guidato l'individuo mortale, dall'una o dall'altra delle manifestazioni divine, verso la presa di coscienza della sua immortalità.

In un altro sigillo, dove il mitico giardino mostra tutta la sua opulenza, tutti i personaggi sono di sesso femminile. Le due figure che attendono all'albero sono individuabili come apparizione duale della divinità degli Inferi Gula - bau, i cui equivalenti nel mondo classico sono Demetra e Persefone. La luna è direttamente al di sopra del frutto che viene offerto, così come nel sigillo accadico stava sospesa sopra alla coppa. E chi riceve la beneficenza, che già ha nella mano destra un ramo del frutto, è una donna mortale.

In tal modo, vediamo che nel primo sistema mitologico del Medio Oriente Nucleare - a differenza con quanto si verifica nel più tardo sistema rigidamente partiarcale della Bibbia - la divinità può essere rappresentata sotto sembianze femminili oltre che maschili, la forma qualificante essendo semplicemente la maschera di un principio che in ultima analisi non è qualificato, che pur essendo immanente in tutti i nomi e in tutte le forme, le trascende.


Senza peccato

Né in questi sigilli vi è alcun segno della collera o della minaccia divina. Non c'è assolutamente alcun senso di colpa in relazione col giardino. Il segreto della vita è lì come una manna, nel santuario del mondo, pronta ad essere colto. E viene offerto senza riserve di sorta a qualunque mortale che cerchi di attingervi, con la giusta propensione e disposizione a ricevere.

Non è quindi accettabile l'interpretazione di quegli studiosi che hanno voluto vedere nel sigillo della prima epoca sumerica la rappresentazione di una versione sumerica della Caduta di Adamo ed Eva. Al contrario la scena è pervasa da un'atmosfera idilliaca, nella visione molto più antica dell'Età del bronzo, in cui il giardino è quello dell'innocenza e in cui i due desiderabili frutti della mitica palma da datteri sono per essere colti: il frutto dell'illuminazione e il frutto della vita immortale. La figura femminile alla sinistra, davanti al serpente, è quasi certamente la dea Gula Bau, (l'equivalente, come abbiamo già visto, di Demetra e Persefone) mentre la figura maschile sulla destra che non è un mortale ma un dio, come si capisce dalla corona con i corni della luna è certamente il suo amato figlio - consorte Dumuzi, "Figlio dell'Abisso"; Signore dell'Albero della Vita, l'immortale, sempre risorgente dio sumero che è l'archetipo dell'essere incarnato.


Demetra e Plutone

Un paragone calzante sarebbe quello con un rilievo greco - romano, in cui la dea dei misteri eleusini, Demetra, è raffigurata con il suo figlioletto divino Plutone, di cui il poeta Esiodo scrisse: "Felice, felice è il mortale che lo incontri nel suo procedere, perché le sue mani sono colme di benedizioni e il suo tesoro trabocca."

Plutone su un certo livello personifica la ricchezza della terra ma in senso più ampio è l'equivalente del dio dei misteri, Dioniso. In Mitologia Primitiva e Mitologia Orientale ho discusso di alcune di queste divinità che sono al tempo stesso consorti e figli della Grande dea dell'universo. Tornando al suo seno nella morte (o, secondo un'altra immagine, nelle nozze) il dio rinasce come la luna fa la muta spogliandosi della sua ombra, o il serpente cambia la sua pelle. Coerentemente con questa visione, in questi riti di iniziazione cui questi simboli erano associati (per esempio, nei misteri di Eleusi) l'iniziato, tornando in contemplazione della dea madre dei misteri, si distacca meditativamente dal fato della sua spoglia mortale (simbolicamente, il figlio che muore) e si identifica col principio che sempre rinasce, l'Essere di tutti gli esseri (il padre serpente); per cui, in un mondo in cui si conosceva solo il dolore e la morte l'estasi viene riconosciuta come un continuo divenire.


L'albero dell'illuminazione del Buddha

Si confronti con la leggenda del Buddha. Quando egli si mise nel Punto Immobile sotto l'Albero dell'Illuminazione, il Creatore dell'Illusione del Mondo, Kama - Mara, "Vita - Desiderio e Paura della Morte", si accostò per insidiarlo. Ma egli toccò la terra con le dita della mano destra e secondo la leggenda - la Potente Madre Terra tuonò dieci, cento, mille volte, dichiarando: "Ti sono testimone" e il demone sparì. Quella notte il Benedetto raggiunse l'Illuminazione e per sette volte sette giorni rimase assorto nel rapimento estatico, e durante questo periodo si alzò una spaventosa tempesta. E un potente re serpente, di nome Muchalinda: "..emergendo dalla sua tana nelle profondità della. terra avvolse sette volte il corpo del Benedetto con le sue spire, dispiegando il suo ampio cappuccio sulla sua testa, dicendo 'Che né il caldo né il freddo, né le zanzare né le mosche né il vento né i raggi del sole né le creature che strisciano si avvicinino a colui che è Benedetto!' E quando sette giorni furono trascorsi e Muchalinda seppe che il temporale era finito, e le nuvole disperse, ritirò le sue spire dal corpo del Benedetto e, assunta una forma umana con le mani giunte sulla fronte, riverì l'Illuminato."

Nella tradizione orale e nella leggenda del Buddha l'idea della liberazione dalla morte ricevette una nuova interpretazione psicologica, che tuttavia non violava lo spirito delle precedenti rappresentazioni mitiche. I vecchi motivi erano portati ad un'enunciazione più avanzata e ricevevano maggiore immediatezza grazie all'associazione con un personaggio storico reale che ne aveva illustrato il significato nella sua vita; pure rimaneva un senso di armonia tra l'eroe ricercatore e i poteri del mondo vivente che, come lui, alla fin fine non erano che trasformazioni dell'unico mistero dell'essere.

Così nella leggenda del Buddha, come negli antichi sigilli del Medio Oriente, prevale un'atmosfera di sostanziale armonia dove c'è l'albero cosmico, dove la dea e il serpente suo consorte danno ascolto al loro degno figlio che chiede la liberazione dai vincoli della nascita, della malattia, della vecchiaia e della morte.


Dio Padre e l'invenzione del peccato

Nel Paradiso Terrestre prevale invece una diversa atmosfera. Perché il Padre Signore (il cui nome scritto in ebraico è Yahweh) maledice il serpente quando viene a sapere che Adamo ha mangiato il frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male; e dice ai suoi angeli: "Guarda, l'uomo è diventato simile ad uno di noi, che conosce il bene ed il male; ed ora affinché non protenda la sua mano ed afferri anche il frutto dell'albero della vita e lo mangi e viva per l'eternità, lo scaccerò dal Paradiso Terrestre, a lavorare la terra da cui era stato tratto".

Così Yahweh scacciò l'uomo; e ad est del suo giardino pose il cherubino che è un cane uccello) e una spada fiammeggiante che girava in ogni direzione, a protezione del cammino verso l'albero della vita. Il primo punto che emerge da questo contrasto e che sarà dimostrato ancora in altre scene mitiche, è che nel contesto del patriarcato della civiltà ebraica dell'Età del ferro, del primo millennio a.C., la mitologia mutuata dalle prime civiltà neolitiche e dell'Età dal bronzo, presenti nei territori da essi occupati, e per un certo tempo governati, venne capovolta, dando ad ogni argomento una valenza opposta a quella originaria.

E il secondo punto è un corollario che discende dal primo: c'è di conseguenza un'ambivalenza in molti dei simboli fondamentali della Bibbia, che nessuna retorica interpretazione tesa ad enfatizzare l'aspetto patriarcale è in grado di occultare. Essi rivolgono un messaggio pittorico al cuore che è esattamente l'opposto del messaggio rivolto alla mente; e questa discordanza nervosa permea non solo l'Ebraismo ma anche il Cristianesimo e l'Islamismo, perché anche queste religioni condividono l'eredità del Vecchio Testamento.


L'invasione ariana e la rivincita dei nuovi dei sul serpente

La rassomiglianza di questa vittoria di Zeus: contro Tifone, con quella di Indram re del Pantheon vedico sul serpente cosmico Vritra è fuori discussione. I due miti sono delle varianti di un unico archetipo.

La vittoria del principio della libera volontà, assieme al suo corollario morale della responsabilità individuale, hanno definito la prima caratteristica distintiva del mito specificamente occidentale, e qui mi riferisco non solo ai miti dell'Europa Ariana (Greci, Romani, Celti e Tedeschi) ma anche a quelli delle popolazioni Semitiche ed Ariane del Levante: Accadici, Semitici, Babilonesi, Fenici, Ebrei e Arabi, Persiani, Ariani, Armeni, Frigi, Traco Illirici e Slavi. Perché sia che consideriamo le vittorie di Zeus e Apollo Teseo Perseo Giasone ecc. sui draghi dell'Età dell'oro, sia che consideriamo la vittoria di Yahweh sul Leviatano; la lezione è la stessa, quella cioè di una potenza semovente che soverchia qualsiasi forza del destino di qualsiasi serpente legato alla terra. Tutti si ergono a contestare l'adorazione della Terra e dei demoni della fertilità della Terra. Un'adorazione dei poteri della fertilità che comprende tutta la vita vegetale ed animale è abbastanza ampia da essere solida e sana. Ma man mano che l'uomo pone sempre più a1 centro della sua attenzione la sua umanità, una tale adorazione diventa un'ovvia fonte di pericolo ed insanità.


L'albero dai pomi d'oro

Le pitture su di un altro vaso mostrano il mitico albero dei pomi d'oro nella terra del tramonto delle Esperidi. Un immenso serpente cornuto è avvinto all'albero e da una caverna nella terra alle sue radici sgorga una polla d'acqua con due bocche mentre le amabili Esperidi, una famiglia di ninfe note nell'antichità per essere figlie nate senza padre della cosmica dea della Notte stanno attorno. E tutto è esattamente come sarebbe rimasto nel Paradiso Terrestre, se il patriarca di recente insediamento (che stava elaborando la sua verosimile pretesa alla priorità non solo dell'avere ma anche dell'essere) non si fosse adombrato quando fu reso edotto di quanto stava accadendo. Perché ora è perfettamente chiaro che prima del violento ingresso dai mandriani nomadi ariani della tarda. Età del Bronzo e degli albori dell'Età del Ferro, provenienti dal nord, e dei pastori semitici di capre e pecore, provenienti dal sud, nei vecchi siti di culto del mondo antico, in tale mondo prevaleva una visione essenzialmente organica, vegetale, non eroica della natura e delle necessità della vita, che ri pugnava assolutamente a quei coraggiosi per i quali non il duro lavoro della terra ma la lancia e il saccheggio erano fonte di ricchezza ed appagamento.

Nei più antichi miti e riti della Madre gli aspetti luminosi e quelli più cupi di quella cosa variegata che è la vita erano egualmente ed assieme onorati, mentre nei successivi e "maschilisti" miti patriarcali, tutto ciò che è buono e nobile veniva attribuito ai nuovi padreterni eroici, lasciando alla natura il solo carattere dell'oscurità, a cui inoltre ora si cominciava a dare una connotazione moralmente negativa. 


Il patriarcato soppianta il matriarcato

Ci sono moltissime prove del fatto che gli ordini sociali e mitici dei due modi di vita contrastanti erano antagonisti. Dove la dea era stata venerata come datrice e sostenitrice della vita nonché consumatrice della morte, alle donne, in quanto sue rappresentanti, era stata accordata una posizione preminente sia nella società che nel culto. Tale ordinamento di costumi sociali e religiosi dominato dalla figura femminile viene chiamato, in senso allargato e generale, l'ordine del Diritto della Madre. E in opposizione ad esso, in una lotta senza quartiere, c'è l'ordine della Patriarchia, con il suo ardore di focosa eloquenza e un furore di fuoco e di spada.

Ed ecco che le letterature. degli inizi dell'Età del Ferro sia delle ariane Grecia e Roma, sia del vicino Oriente semitico, pullulano di leggende di conquiste di un eroe luminoso sull'oscuro e, per una ragione o per un'altra, esecrato mostro appartenente ad un ordine di divinità precedenti, dalla cui spire c'è da strappare qualche tesoro: una terra meraviglia, una fanciulla, un tesoro d'oro, o semplicemente la libertà dalla tirannia del mostro stesso.

I1 principale esempio biblico è quello della vittoria di Yahweh sul serpente del mare cosmico, il Leviatano; e di cui Yahweh si vanta con Giobbe. 



Serpenti e draghi taoisti

di Carlo Moiraghi 


Il suo volto è umano e mostra lineamenti decisi e sereni. Il suo corpo è spire di serpente avvolte e riavvolte. E' Spirito Anima Genio Presenza di natura unitaria e ancestrale, precedente la separazione e la differenziazione propria dell'esistente. Esso riunisce e fa vivere in sé i due principi complementari contemporanei concentrici coincidenti inscindibili e opposti, proprio non mi è possibile depennare nemmeno uno di questi attributi in cui l'Unità si è differenziata nell'Esistenza.

La tradizione taoista chiamò Yin e Yang questi inseparabili principi intrinseci al vivere.

In modo analogo il taoismo concepì l'antico genio dal corpo di serpe in forma duale e ne precisò dualità di forme, caratteri, nomi.

Nella mitologia cosmogonica taoista due leggendari Augusti, Fuxi e Nugua avevano corpi di spire, sovente intrecciati l'un l'altro.

Essi furono gli ordinatori del mondo. Più volte introdotti come fratello e sorella, come sposi o come amanti, Fuxi e Nugua valgono nel mito la coppia primigenia da cui l'umanità discende. Erano certo tempi diversi in cui uomini e animali vivevano in totale unione. Anche Yao e Shun, due degli antichi primi Cinque Imperatori, precisa Liehtse il maestro taoista, avevano parti del corpo di forma animale e sudditi e truppe animali.

Nell'iconografia antica, il Genio primitivo dalla coda di serpente ha dunque due forme e due nomi. Forse molti di più. Non vi è qui metamorfosi tra l'uno e l'altro aspetto. La metamorfosi, la trasformazione ci insegna ancora Liehtse, è propria dell'esistente. Egli, il Genio Mostruoso, è principio e essenza e semplicemente vive, assoluto e immutabile, contemporaneamente e senza contraddizione presente in differenti e complementari espressioni.

Il Genio Mostruoso ha dunque due forme e due nomi ed entrambi i nomi introducono al Fuoco, il movente del calore vitale.

Egli è Zhu Long, il Drago Fiammeggiante, e parimenti egli è Zhu Yin, l'Oscurità Fiammeggiante. Sono queste le due forme in cui e da cui si esprimono le forze vitali del mondo, il principio e la sorgente stessa di tutti i fenomeni e gli venti di natura.

Antichi testi taoisti ci introducono a questi misteri.

"Il Genio del Monte Zhong si chiama Zhu Yin, Oscurità Fiammeggiante.
Quando apre gli occhi, viene il giorno. Quando li chiude, viene la notte.
Quando espira viene l'inverno. Quando inspira, viene l'estate.
Non beve, non mangia, non respira.
Quando respira viene il vento.
Il suo corpo grande mille misure si trova ad est del paese di Senza Polpacci.
E' un essere dal volto umano e dal corpo di serpente, è di colore rosso e abita ai piedi del monte Zhong, il Monte della Campana."
Shan Hai Jing. Cap. 8° - Trad. R. Mathieu

"Zhu Long il Drago Fiammeggiante vive a nord alla Porta delle oche Selvatiche.
Se ne sta chiusonei Monti Wei Yu, dove non si vede mai il sole.
Questo Spirito ha volto di uomo e corpo di drago. Non ha piedi."
Huai Nan Zi Cap. 4° - Trad. E Rochat de la Vallée e C. Larre.

Il Genio dal corpo di serpente che si esprime in Zhu Long ed in Zhu Yin, diviene così il centro e il movente di luce: e di calore dei luoghi santi del mistero e del sogno taoista.

"Il Giardino delle delizie sui Monti Kun Lun
dove si trova con esattezza?
I Nove Piani dei suoi bastioni a quale altezza giungono?
Le sue Porte, rivolte verso 1e Quattro Direzioni, chi ne garantisce la guardia? L'apertura che vi è a Nord Ovest in che modo i Soffi la attraversano?
Vi è lì un luogo che il sole non raggiunge?
E in che modo Zhu Long il Drago Fiammeggiante lo illumina?"
Chu Ci. Tian Wen. - Trad. E.Rochat de la Vallée e C. Larre.

Quintessenza e protettore del principio naturale; Zhu Long lo Spirito Uomo e Serpente rappresenta il capostipite della variegata ed immortale stirpe dei draghi cinesi, che da un passato remoto e regale è giunta intatta fino ad oggi e tutt'oggi vive nel centro della tradizione e del culto popolare cinese.

Come è carattere del pensiero taoista, la stirpe dei draghi si esprime secondo la polarità duale delle presenze archetipiche di cui è discendenza.

Da Zhu Yin e Zhu Long derivano così due famiglie fra loro complementari dei draghi, depositarie e matrici, l'una della valenza Yin delle forze e degli eventi di natura, l'altra della complementare valenza Yang. Ne deriva l'esistenza di draghi di natura Yin e di draghi di natura Yang, sovente in rapporto con la Luna e con il Sole che dei due principi Yin Yang sono le forme celesti, come per altro con l'Acqua e con la Terra, con la pioggia e con la secchezza, con il vento, con le nuvole, con il sereno.

"Cavalcando Fei Long il Drago Volante
formo il mio carro di molte e varie pietre preziose...
Conduco gli otto draghi che ondeggiano, tengo alto il mio stendardo di nuvole che si elevano in spire..."
Chu Ci Li Sao. - Trad. E. Rochat de la Vallée e C. Larre.

Cavalcatura di saggi ed illuminati, il Drago Celeste è il destriero che giunge a testimoniare e sancire la riuscita di una vita. E' la via che rende possibile e realizza la grande ricerca del mondo taoista, il raggiungimento dell'immortalità con il corpo.

Da intendersi non come simbolo ma come effettuale testimonianza di una raggiunta riunione con il Principio, l'immortalità corporea è certo tema che merita più ampi spazi.

Antichi racconti ci regalano sprazzi di conoscenza in visioni di draghi volanti che discendono dalle nuvole agli uomini meritevoli ed accolgono saggi imperatori insieme a tutte le loro corti sul dorso e li conducono così nei cieli in galoppate eterne.

Il Cielo e la Terra, lo Spirito e il corpo riconoscono così la loro reale coincidenza, al di là delle nostre altrettanto reali limitazioni e paure.

Tanto accadde a Huang Di, il mitico Imperatore Giallo, e a Ying Long, il leggendario drago suo destriero. 



Il mistero greco del serpente

di Sabina Salari 


"Padre al serpente un toro e padre al toro un serpente, sopra il monte un bifolco è il suo nascosto stimolo"
(Clemente Alessandrino, Protreptico, II 16.3)

"Consuetudine e vana credenza sono i misteri, e cioè un inganno teso dal serpente, inganno che gli uomini venerano..."
(Clemente Alessandrino, Protreptico, II 24.3)

Phanes è il serpente figlio di serpente, nato dall'uovo primordiale in cui tutta la materia si condensò, e in essa tutti gli elementi, principi contrapposti della vita raccolti in una forma solida.

Per capire Phanes bisogna risalire indietro, poiché se egli fu il signore dell'apparire, qualcosa già esisteva prima di lui. La Teogonia orfica pone all'origine del tutto l'acqua e la materia da cui si condensò il fango. Da quest'orrida distesa scaturì il terzo principio: un dio. Sarebbe erroneo definirlo un dragone poiché esso era questo e molto di più. Sul corpo di serpente ricoperto di squame, ali immense e distese. Due teste aderenti, una di toro e una leone, mentre al centro una testa di diversa natura mostrava cosa fosse il volto d'un dio. Il suo nome era Kronos, si chiamava anche Eracle, il primo dio, il primo serpente. Unita indissolubilmente a lui, Adrastea Ananke, l'incorporea Necessità, anch'ella serpente, anch'ella alata. Immobili e intrecciati, i serpenti riempivano il Tutto, e giungevano dove il Tutto finiva. Il nodo eracleotico nascondeva il loro coito incessante, causa generatrice di vita a cominciare dalla triplice generazione: l'umido Etere, padre del kaos infinito e della Notte priva di stelle. ma l'universo era un infinito baratro senza luce, e tutto doveva ancora essere creato. La copula degli immensi dei produsse un uovo che conteneva le radici di ciò che doveva essere. Sia che prendesse forma di una nebbiolina densa come una veste candida, sia che fosse d'argento e come tale solido e pesante, l'uovo sfavillava di luce. Allorché Tempo, sciolto l'abbraccio, lo avvolse, l'uovo si spaccò: dalla sua metà superiore, posta in alto, derivò la volta celeste; l'inferiore diede origine alla terra. L'uovo liberò così Phanes, il rifulgente apparire.

Il suo nome era anche Fetonte, Protogonos, Splendente Primigenio, il primo, padre dell'esistente, da cui l'universo prese luce.

Uno strano essere e tanti esseri, il primo figlio del dio, egli è dio e animale, e tutti gli animali e tutti i principi sono in lui. Spaventose teste di serpente, di toro, di ariete, e di leone dagli occhi di fuoco; egli sibila, muggisce, bela e ruggisce. Quattro corna e quattro occhi, immense ali d'oro in un corpo divino emanante luce. Phanes, ermafrodito, copulando con sé stesso partorisce subito Echidna, la donna serpente.

E' detto che, benché potesse farne a meno, egli, dopo averla nuovamente creata, si unì alla Notte perché l'atto creativo fosse totale. Solo Notte infatti poteva guardare verso di lui. Chiusi nella grotta della dea, essi crearono tutti gli elementi, e la stirpe divina in essi, a cominciare da gaia, la Madre terra, e Urano, il Cielo Stellato.

A lungo Phanes rimase nella grotta di notte, lasciando che fosse lei a regnare. Mentre ogni angolo del mondo risplendeva di vita, lo scettro del potere passò ad Urano, e a Kronos dopo di lui. Entrambi inghiottivano i propri figli. Ma solo a Zeus riuscì anche di rigettarli di propria volontà: solo allora fu chiaro lo scopo creativo dell'orribile costume paterno.

Non appena prese il potere, l'ultimo re divino sentì impellente la necessità di ripetere il gesto del padre, inghiottendo tutto ciò che Phanes aveva creato. E così fece, perché Phanes è l'unico principio, mezzo e fine e tutti gli opposti sono in lui. Inghiottì l'esistente e con esso Phanes, che già da tempo risiedeva lontano, nascondendosi ad ogni cosa.

Divenne invisibile, e comprese il segreto di Tempo - senza - vecchiaia, perché le forme del toro e del serpente passarono in lui. Come per la nascita di Athena, un nuovo ordine si instaurò nel mondo quando Zeus lo partorì nuovamente, splendido e luminoso. Fisicamente Phanes scompare a questo punto, ma egli sopravvive nella luce, nel coito eracleotico di Hera e di suo figlio Zeus - serpente, in Persephone, fanciulla serpente, ed in Zagreo, figlio dei medesimi padre e figlia serpenti. Dioniso Zagreo, per i suoi iniziati è il toro, e nel mito è sposo di Arianna, colei che possiede il segrreto del toro; come Persephone, senza saperlo, ereditò il segreto di Phanes, il primo dio del visibile, serpente figlio del toro-serpente.


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