IL MISTERIOSO «LIBRO DI DZYAN»
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Esistono, nella storia delle cosiddette scienze occulte, due generi di ‘libri maledetti’: quelli relativi alle pratiche della magia nera - i grimori -, come la famigerata Clavicola di Salomone; e quelli relativi alla storia segreta dell'umanità, che narrano vicende altrimenti sconosciute e, generalmente, in contrasto con quanto insegnato sia dalla scienza accademica, sia dalle religioni, come è il caso del “Libro di Dzyan”.
Ci siamo già occupati dei primi, sia pure di sfuggita, in un precedente lavoro intitolato Il giardino d'inverno (1), consultabile anche sul sito di Arianna Editrice. Anche il celebre “Necronomicon” dello scrittore Herbert Phillips Lovecraft, dovrebbe rientrare in questa categoria; benché, trattandosi - come sembra - di un'opera appartenente agli pseudo-biblia, sia difficile definirne esattamente il contenuto. Come sapere con certezza di che cosa parla un libro di cui tutti parlano, ma che, molto probabilmente, non esiste? Anche su di esso, comunque, ci siamo soffermati, nel corso di una conferenza tenuta il 30 marzo del 2007 presso il palazzo Foscolo di Oderzo, e dedicata al narratore di Providence, per cui non indugeremo oltre su tale argomento. (2)
Possiamo solo aggiungere che in alcune opere dello stesso Lovecraft, e particolarmente nel romanzo “Le Montagne della Follia”, ricorrono elementi tipici della seconda categoria dei ‘libri maledetti’, ossia un racconto della storia dell'umanità che comprende interventi di esseri spaziali, lotte fra questi e i primitivi abitanti del nostro pianeta, che sarebbero stati intelligenti, ma non umani; catastrofi dimenticate e concrete possibilità di un ‘ritorno’, più o meno minaccioso, dei Grandi Antichi che, in un lontano passato, erano stati costretti ad allontanarsi nelle profondità siderali.
Possiamo anche notare un’altra cosa, e cioè che Lovecraft, in due suoi racconti, “L’Abitatore del Buio” e “Il Diario di Alonzo Typer” (quest'ultimo, scritto a pagamento per un certo William Lumley), cita espressamente il Libro di Dzyan come tipico esempio di ‘libro maledetto’, in un contesto narrativo che sta al confine fra il genere horror e quello fantasy; il che, probabilmente, ha contribuito alla diffusione della sua conoscenza entro la cerchia degli appassionati di questi due particolari rami della letteratura fantastica, ma non ha certo giovato alla eventualità che qualche studioso d’impostazione accademica lo prendesse sul serio in quanto opera storica, sia pure con tutte le dovute cautele e le necessarie verifiche.
In effetti, l’unica versione nota in occidente del Libro di Dzyan è quella che Helena Petrovna Blavatsky ha tradotto in versi, intitolandola “Le Stanze dal Libro di Dzyan” (di fatto, sovente i non specialisti confondono i due titoli e le due opere) ed esponendola nel suo volume “La Dottrina Segreta” (3); che, assieme ad “Iside Svelata”, è generalmente considerata l’opera più importante della mistica russa e fondatrice della Società Teosofica.
D’altra parte, “La Dottrina Segreta”, pubblicata per la prima volta nel 1888, in ben otto volumi, è un’opera la quale - sia per la mole spropositata, che per l’estrema complessità del linguaggio - ben poche persone hanno avuto la possibilità e la capacità di leggere integralmente; tanto che, se si può dire che assai pochi sono stati e sono i marxisti che abbiano letto davvero tutto “Il Capitale”, crediamo che perfino tra teosofi non siano molti coloro che possano vantarsi di aver letto dall’inizio alla fine questo libro sconcertante di Madame Blavatsky.
Abbiamo detto sconcertante; e la ragione non risiede solamente nel fatto che vi si traccia una storia estremamente varia e complessa delle origini dell’Universo, della Terra e della vita su di essa, evidentemente assai prima che vi fosse qualcuno capace di registrarla, ma anche nel fatto che nessuno, in effetti, ha mai visto il “Libro di Dzyan”, almeno in Occidente. Circa la sua effettiva esistenza, infatti, possediamo la sola testimonianza di Helena Blavatsky; la quale, a sua volta, sosteneva di essere stata nel Tibet, a Lhasa, dove avrebbe avuto la possibilità di prenderne visione e stenderne un compendio in versi; ma gli studi sulla sua biografia tendono a mettere in dubbio che ella sia realmente penetrata in quel Paese, allora quasi inaccessibile agli stranieri, in special modo occidentali.
Come se ciò non bastasse, la teosofa russa sosteneva che esso fosse scritto in una lingua pre-ariana ora completamente dimenticata, il senzar; e che esso sarebbe stato dettato dagli Atlantidi, ossia i membri della quarta razza “creata” sul nostro pianeta dagli dèi “costruttori” provenienti dallo spazio, e poi distrutta da una immensa catastrofe e sommersa dalle acque di un Diluvio (mentre la razza attuale, alla quale noi apparteniamo, sarebbe la quinta). Ma non esistono prove dell’esistenza della lingua senzar, esattamente come nel caso delle fantomatiche “tavolette Naacal” di James Churchward, sostenitore dell’esistenza di una antichissima civiltà del Pacifico situata nel continente, ora scomparso, di Mu; né si capisce come avrebbe fatto Madame Blavatsky a tradurre una lingua morta e totalmente sconosciuta.
Una possibile spiegazione sarebbe che la copia originale del Libro di Dzyan, di cui esistono forse anche dei codici posteriori, non consisterebbe in un libro vero e proprio, come noi lo intendiamo, fatto cioè di pagine riempite da caratteri destinati alla lettura; bensì sarebbe una sorta di oggetto ‘magico’ il cui contenuto verrebbe compreso intuitivamente, per via telepatica, da coloro i quali vi poggiano sopra la mano sinistra, ma solo a determinate condizioni: in particolare, quella di possedere una mente ed un cuore sgombri da secondi fini o desideri impuri. Tale, infatti, è la descrizione che la teosofa russa fa di questo libro ‘maledetto’.
È chiaro che una simile ipotesi di lavoro non può soddisfare le esigenze degli studiosi di formazione accademica; i quali, di conseguenza, si rifiutano semplicemente di prenderla anche solo in considerazione. D’altra parte, bisogna riconoscere che perfino nell’ambiente dei teosofi esistono opinioni contrastanti circa l’autenticità del libro; e se David Reigle propende per collegarlo al “Kalachakra Tantra”, famoso testo del buddismo Vajrayana, dal canto suo Sylvia Cranston (pseudonimo di Anita Atkins) pensava che il “Libro di Dzyan” non fosse mai esistito e che, pertanto, le “Stanze dal Libro di Dzyan” altro non siano che un parto della mente (ma non necessariamente di carattere fantastico) di Helena Blavatsky. (4)
D’altra parte, accenni al Libro di Dzyan esistono già prima della mistica russa, anche se si tratta di notizie chiaramente di seconda mano: ne parlano, fra l’altro, il matematico e astronomo francese Jean Sylvain Bailly (1736-1793), alla fine del XVII secolo, e un occultista, sempre francese, Luois Jacolliot (1837-1890), nel secolo successivo.
Oltre a ciò, prima di liquidare le Stanze di madame Blavatskij come un’opera di pura fantasia, bisogna tenere presente il fatto che, ne “La dottrina Segreta”, ella si serve di un immenso apparato di riferimenti e citazioni dalle fonti più disparate. Molti hanno gridato al plagio e si sono soffermati a mostrare quanti passi ella abbia tolto da altri autori, senza citarne la fonte; ma la cosa è più complessa di come sembra, perché ricerche accurate avrebbero dimostrato che, in moltissimi casi., ella non possedeva affatto i testi in questione, né avrebbe potuto procurarseli facilmente. Questa circostanza riporta sul tappeto la questione della telepatia e della supposta capacità, da parte del medium - ed Helena Blavatsky certamente possedeva doti medianiche - di accedere a quel grande deposito di conoscenze cosmiche che è l’Akasha, ove tutti gli eventi - passati, presenti e futuri - sono per così dire fedelmente registrati, come su un nastro magnetico, e del quale ci siamo altra volta occupati. (5)
I cultori della Tradizione parlano dell’Akasha come di una realtà dimensionale diversa dalla nostra, ma in qualche modo parallela e, a determinate condizioni, comunicante con essa, alla quale possono accedere appunto le persone dotate di particolari poteri. Si tratterebbe di una sorta di grande ‘deposito cosmico’ ove sussistono, in una condizione intermedia tra la fisica e la psichica, tutti gli enti che sono stati, che sono e che saranno, tutti i mondi possibili che la mente può evocare, compresi i sogni a occhi aperti dei bambini.
Scrive Yves Naud, un autore francese già ben conosciuto dal pubblico italiano per il volume “La vendetta dei Faraoni” (Ginevra, 1977; ripubblicato dai Fratelli Melita Editori, La Spezia, 1990), nel suo “Enigmi degli U. F. O. e degli Extraterrestri” (6):
“Esistono, nel mondo, dei libri maledetti che una sorta di «Santa Alleanza contro il sapere» ha combattuto aspramente dai tempi più remoti fino ai nostri giorni?
Da Lovecraft a Sax Rohmer , da Edgar Wallace a Coleridge. Il tema del «libro maledetto» ha ispirato numerosi scrittori. Bastano pochi esempi a dimostrare che non si tratta sempre di un tema puramente letterario. Nel 1885 Saint-Yves d’Alveydre, considerato uno dei primi teorici della Sinarchia, riceve l’ordine, sotto pena di morte, di distruggere la sua ultima opera “Mission de l’Inde en Europe et Mission de l’Europe en Asie”. Saint-Yves obbedisce all’ordine. Un solo esemplare sfugge miracolosamente alla distruzione.
Dodici anni dopo, nel 1897, gli eredi dello scrittore Stanislas de Guaita, uno dei maestri dell’occultismo, ricevono a loro volta l’ordine di far sparire quattro manoscritti inediti che trattavano di magia nera. In questo caso, tutti i testi vengono distrutti; nulla resta, da nessuna parte, di quei quattro libri.
Si potrebbe proseguire con gli esempi… Dall’antichità ai giorni nostri, la lista dei libri maledetti è lunghissima. Ci limiteremo, qui, a raccontare la storia di uno di questi libri. Una strana storia, come vedremo. (…)
Secondo il “Libro di Dzyan”, i primi uomini della Terra erano discendenti dai Celesti o Pitris, venuti dalla Luna.
Il testo descrive l’evoluzione dell’uomo dalla prima razza fino alla quinta - la nostra - che si ferma alla morte di Krishna cinquemila anni fa. Scritto in una lingua assolutamente sconosciuta, il senzar, si dice che sia stato dettato agli Atlantidi da esseri divini. Il Libro di Dzyan parla delle dinastie atlantidi divine e ricorda i «re del Sole» che occupavano «troni celesti».
Quest’epopea religiosa non potrebbe essere il ricordo distorto di extraterrestri, di Venusiani che si posarono sulla Luna e poi sulla Terra? I «re del sole» sono forse uomini dello spazio venuti a «colonizzare» la Terra su macchine spaziali?
Come è stato scoperto il “Libro di Dzyan”? Quali segreti nasconde? Presenta davvero dei pericoli per la nostra civiltà, come pretendono alcuni ricercatori?(…)
È alla fine del XVIII secolo che il mondo occidentale sente parlare per la prima volta del “Libro di Dzyan”. In quell'occasione, l’astronomo Bailly afferma che il manoscritto viene dalle Indie, ma che in effetti è stato scritto… sul pianeta Venere!
Nel XIX secolo, un altro francese, Louis Jacolliot, si interessa del Libro di Dzyan che egli chiama “Le Stanze di Dzyan”. Ma la sventura sembra accanirsi contro tutti coloro che pretendono di possedere il manoscritto.
Per qualche anno i ricercatori - cedendo alla superstizione - rinunciano allo studio del manoscritto. Ma la questione torna alla ribalta con l’entrare in scena della famosa teosofa Helena Blavatsky.
Helena Petrovna Blavatsky nasce in Russia il 30 luglio 1831. Fin dalla più tenera età sembra essere vittima - o istigatrice - di forze malefiche. Il giorno del battesimo la pianeta del pope prende fuoco senza motivo, il che provoca il panico tra gli invitati, molti dei quali rimangono feriti.
La serie nera continua via via che Helena cresce. A cinque anni si diverte a ipnotizzare i suoi compagni di giochi: uno di essi si getta in acqua e annega.
A quindici anni Elena manifesta doni di chiaroveggenza che terrorizzano la famiglia: smaschera alcuni criminali che la polizia non riusciva ad arrestare. Per tutto ringraziamento le autorità pensano di… metterla in prigione sostenendo che turba l’ordine pubblico. La famiglia interviene e la fa sposare, sperando che il matrimonio faccia sparire quei doni imbarazzanti. Ma Helena fugge e raggiunge il porto di Odessa, dove si imbarca per Costantinopoli., Da lì passa in Egitto. (...)
Al Cairo Helena vive con un mago di origine copta che le manifesta l’esistenza di un libro maledetto, dai poteri nefasti.
Si trattava, naturalmente, del “Libro di Dzyan”, del quale Helena Blavatsky si mise alla ricerca e che finì per trovare, forse con l’aiuto di quei “Maestri occulti” tibetani dei quali ella ha parlato frequentemente, e sulla cui realtà e natura si dividono, su fronti opposti, coloro che la considerano una ciarlatana, sia pure dotata di facoltà insolite e di una certa genialità istrionesca, e coloro che la considerano una autentica iniziata.
Tra questi ultimi, Paola Giovetti ricorda la testimonianza del colonnello Henry Steel Olcott, secondo il quale la donna scriveva le sue opere in un evidente stato di trance ipnotica; e aggiunge che ella sembrava ‘copiare’ da un manoscritto visibile a lei soltanto; tanto più che, spesso, i brani da lei citati a memoria figuravano su libri estremamente rari, ad esempio reperibili solo presso la Biblioteca Vaticana o il British Museum. (7)
Tra coloro che hanno cercato di interpretare il “Libro di Dzyan” alla luce delle conoscenze oggi in nostro possesso nei diversi campi della linguistica comparata, dell’archeologia, della mitologia, della geologia e della storia antica, merita una menzione Valentino Compassi, che se ne è occupato nel suo libro “La Colonna di Fuoco”. Forse particolarmente interessato alle tecnologie perdute, il suo approccio al problema rappresentato dal misterioso libro tibetano è dichiaratamente di tipo anti-spiritualistico e, pertanto, diametralmente opposto a quello di Madame Blavatsky. Eppure molte delle osservazioni di Compassi potrebbero essere sottoscritte da uno studioso di tendenza spiritualistica, in particolare l’insofferenza per la Vulgata oggi corrente sulle origini dell’uomo, basata su un rozzo materialismo evoluzionista secondo il quale, a un certo punto - non si sa come e perché - un nostro lontanissimo antenato erbivoro ed arboricolo si sarebbe trasformato in carnivoro e terricolo.
Compassi, inoltre, si serve di frequenti accostamenti ad altri ambiti culturali e ad altri testi, dal “Popol Vuh” dei Quiché all’Atlantide di Platone, per mostrare le concordanze esistenti fra il racconto del “Libro di Dzyan” e altre culture e mitologie - intendendo, per mitologie, delle forme di conoscenza diverse e niente affatto inferiori, anzi semmai superiori alla pretesa conoscenza scientifica occidentale moderna. (8)
Ad ogni modo, è da deprecare - a nostro avviso - che nessuno studioso di formazione accademica si sia mai preso la briga di indagare con un minimo di serenità di giudizio, sgombro da preconcetti, le tesi di fondo esposte ne “La Dottrina Segreta” e, più specificamente, nel “Libro di Dzyan”. Le difficoltà, evidentemente, non sono solo di natura tecnica - in quanto tale studio presuppone vaste e diversificate conoscenze in campi tra loro assai diversi, dalla cosmologia, alla geologia, all’antropologia - ma anche e soprattutto di natura metodologica e filosofica. Metodologica: perché, come si è detto, sarebbe necessario lavorare sulla base di indicazioni che ben raramente possono essere sorrette da certezze scientifiche, nel senso oggi attribuito a quest’ultimo termine, anche se non per questo totalmente infondate e gratuite. Filosofica: perché l’idea di una umanità - anzi, di una serie di razze umane distinte, succedutesi nel tempo - volta a volta ‘costruite’ e distrutte da esseri provenienti dallo spazio, urta sia con la concezione delle grandi religioni esistenti, sia - più in generale - con una visione ‘trascendente’ e finalistica della vita e di quel tipo particolare di vita, che è la vita umana.
Scrive, dunque, Valentino Compassi nel suo libro già citato, “La Colonna di Fuoco. Origine interplanetaria delle religioni” (9):
“Come accennato, esiste un Libro Sacro, custodito nel Tibet più segreto, che si chiama Le Stanze di Dzyan: esso è un vorticare di altissima e remota tecnologia e il suo contenuto spazia dalla creazione dell’Universo visibile, alla meravigliosa comparsa di esseri celesti sulla Terra e quindi alla formazione dell’essere umano con vari esperimenti di strabiliante ingegneria genetica, da parte di questi esseri. Il magnifico Libro ha ben poco di misticismo; inviolabile nella sua copia originale, è anteriore al nostro mondo ed è stato scritto con la «lingua degli Dei». I suoi grandissimi fogli sono di colore nero e densi di simbolismi a caratteri d’oro zecchino; è un libro colossale, pesantissimo, chiuso alla maniera tibetana tra due spesse tavole, ma sono tavole di oro purissimo e magistralmente cesellate. Le Stanze di Dzyan è un Libro Sacro magnetico nel senso che, appoggiando il palmo della mano sinistra sui suoi simboli profondi e avendo l’animo e la mente completamente scevri da qualsiasi impurità, si vedono passare avvenimenti, si odono voci, si percepiscono segreti svelati.
Il testo è diviso in due parti: la prima, Evoluzione Cosmica, consta di 7 Stanze (capitoli) e 53 capoversi; la seconda, Antropogenesi, comprende 12 Stanze e 49 capoversi. La grande studiosa russa Helena Petrovna Blavatsky (1831-1891), viaggiatrice dallo spirito irrequieto e fondatrice nel 1875 della Società Teosofica, ha lasciato ottimi libri di commento sulle Stanze di Dzyan (La Dottrina Segreta), ma sono commenti e direttive prettamente esoterici; non è dato sapere del resto, se la Blavatsky, durante il suo ipotetico ingresso nel Tibet nascosto, abbia potuto prendere visione del Libro Sacro oppure ne abbia potuto assaporare il contenuto soltanto da una copia (non integrale) durante il suo soggiorno in India.
Reputiamo indispensabile analizzare alcuni passi riguardanti l’Antropogenesi e tradurli o interpretarli in modo concreto, senza i soliti misticismi; così operando otterremmo una visione davvero sorprendente su meravigliose e remote descrizioni concernenti la non più misteriosa comparsa dell’uomo sulla Terra. La discesa di esseri dallo spazio cosmico, la loro divinizzazione, i loro terrificanti combattimenti con esseri mostruosi che popolavano questo pianeta e, cosa estremamente valida e importante, i loro vari tentativi di creare una Razza a loro immagine e somiglianza, abbastanza funzionante sul pianeta Terra: una Razza scaturita da vari esperimenti basati sull’ingegneria genetica.
Questa è l’Antropologia spaziale o Antropologia cosmica; una scienza d’avanguardia che è atto di coraggiosa rottura con gli studi e le teorie sino ad ora formulati sul mistero dell’origine dell’uomo. Antropologia cosmica significa immagazzinare, registrare ed elaborare un’infinità di elementi, un turbine di avvenimenti in un vortice di concrete possibilità; significa mettere ordine tra le righe di antichissimi testi e saper ben leggere tra le righe, cogliere significati occulti di fatti storici o religiosi per ottenere così una chiara visualizzazione mentale sul passato remoto dell’Uomo. (…)
Queste doverose, brevi premesse, prima di cominciare lo studio di alcune descrizioni contenute nell’Antropogenesi delle Stanze di Dzyan: diremo ancora che il termine Dzyan deriva certamente da Dhyâni, Dei planetari
Formatori e costruttori che, assieme ai Lhâ, Dei celesti con poteri sovrumani e ai Lhâmayn, Dei risplendenti inferiori, misero ordine sul pianeta Terra e cominciarono a costruire le razze umane, alcune distrutte perché mal riuscite, fino a giungere alla Quinta Schiatta, che tuttora alberga sulla Terra.
Allora i costruttori, indossate le loro prime vestimenta, discendono sulla terra radiosa e regnano sugli uomini che sono loro stessi (Stanza VII-7).
Soffermandoci sul termine ‘allora’, viene spontaneo osservare che trattasi di un’azione consequenziale, cioè il succo, il riepilogo, seguito da una decisione, di una lunghissima preparazione al disegno programmato da una civiltà planetaria, di colonizzare il pianeta Terra. L’interpretazione di questa frase suona così:
Dopo la suprema decisione, i cosmonauti, che avevano il compito di formare una Razza umana, atterrarono sul pianeta Terra in pieno giorno e da quel momento essi sono capi e re della futura Razza terrestre da loro formata e costruita.
I «Costruttori» erano scesi sulla Terra dopo che il Pianeta aveva subito sconvolgimenti catastrofici e dopo la comparsa di Razze mostruose sulla sua superficie.
La ruota girò per trenta crore ancora… dopo trenta crore si rivolse… essa creò dal proprio grembo. Sviluppò uomini acquatici terribili e malvagi… I Dhyâni vennero e guardarono. I Dhyâni vennero dal lucente Padre-Madre, dalle regioni bianco latte, dalle dimore dei mortali immortali… essi furono malcontenti… non Rûpa adatti per i nostri fratelli del quinto. Non dimore per le vite… e le fiamme vennero. I fuochi con le scintille… I Lhâ dall’alto ed i Lhâmayn dal basso vennero. Essi uccisero le forme che avevano due e quattro facce. Combatterono contro uomini-capra e contro uomini dal capo di cane e contro gli uomini dal corpo di pesce (Stanza II-6).
Tenendo presente che il termine Rûpa sta ad indicare modelli , forme e che il termine crora indica un tempo di milioni di anni, la nostra interpretazione suona così:
La Terra girò vorticosamente ancora per molti milioni di anni, quindi si ribaltò… Dopo la catastrofe sorsero degli esseri acquatici terribili, dal grembo della Terra. I Dyhâni vennero dalle luminose profondità dello spazio, dalle dimore dei mortali-immortali e non furono contenti: «Qui non ci sono forme adatte alla vita; non c'è possibilità per i nostri fratelli del Quinto pianeta». E decisero. Cominciarono a vomitare fuoco, coadiuvati dalle forze di aria e di terra. I mostri furono uccisi: gli uomini-capra e gli uomini dalla testa di cane scomparvero, così come gli uomini dal corpo di pesce…
Considerazioni: la descrizione che la Terra si ribaltò è quanto mai veritiera. Il papiro Haris (1.300 a. C.) fa riferimento ad una «catastrofe di fuoco e di acqua che provocò il rivoltarsi della Terra»; il papiro Ipuwer (1.250 a. C.) precisa che «il mondo prese a girare a rovescio come se fosse una ruota del vasaio e la Terra si è capovolta»; il papiro Hermitage (1.700 a.C.) afferma che «il mondo si è capovolto» e per finire l’antichissimo testo indù Visuddhi Magga sostiene che la terra venne scrollata, si capovolse e un ciclo del mondo ne rimase distrutto. Dopo aver descritto la prima e la seconda Razza , rispettivamente esseri formati da un connubio tra appartenenti a un pianeta giallo e altri di un pianeta bianco nonché i prodotti «per germinazione ed espansione , l’A-sessuale della senza sesso» (vedi essere androgino), il Sacro Testo passa a descrivere la formazione della Terza e Quarta Razza:
Il bianco cigno della volta stellata adombrò la grande goccia. L’uovo della Razza futura, l’uomo-cigno della Terza che venne più tardi. Prima maschio-femmina, poi uomo e donna… (Stanza VI-22).
La bianca costellazione del Cigno dunque, adombrava la Terra (Grande Goccia), allorché fu costruita la Terza Razza che venne appunto chiamata Razza-Cigno; una Razza diretta discendente dall’essere androgino. Infatti viene specificato che mentre prima esisteva l’essere Maschio-Femmina (cioè bisessuale), dopo l’intervento si ebbe lo stesso essere che era diventato due, cioè Uomo e Donna.
Ma ecco una descrizione più dettagliata:
Gli animali si separarono per primi; essi cominciarono a far Razza. L’uomo duplice si separò pure. Egli disse: «Facciamo come loro, uniamoci e formiamo delle creature». E così fecero… e generarono dei mostri. Una Razza di mostri deformi coperti di pelo rosso, che camminavano a quattro zampe. Una Razza muta perché l’onta non fosse narrata (Stanza VIII, 31-32).
Questo secondo intervento dei Formatori e dei Costruttori fu quindi dapprima sperimentato sugli animali e poi sull’essere androgino, che era sì intelligente ma, come vedremo, non poteva dirsi ‘ragionevole’. Anche questo essere, divenuto due, cominciò ad accoppiarsi come del resto facevano da tempo gli animali e diede origine a una razza di Mostri, che camminavano a quattro zampe ed erano coperti di pelo rosso. Una razza muta, perché l'onta non fosse narrata!
Dobbiamo ricordare che anche il Popol Vuh, la meravigliosa Bibbia del popolo Quiché del Guatemala, fa menzione di questa Razza ‘mostruosa’. Quest’opera, chiamata anche Libro del Consiglio, Libro Sacro, Popol Buj, Libro nazionale dei Quiché, fu scoperta nei meandri del Santuario di San Tomas Chichicastenago da padre Francisco Ximenes e venne tradotta nel 1701. Il prezioso manoscritto contiene le credenze e le cognizioni cosmogoniche di quel popolo, dalle sue origini fino al 1550 circa; viene chiaramente menzionata la «faccia rotonda della Terra» e la creazione dell’Universo (che rispecchia le descrizioni degli antichissimi Veda dell’India antica!).Il Popol Vuh descrive una razza di uomini ‘sbagliati’ che vennero annientati senza misericordia dai Formatori, per la loro pessima riuscita; poi subito passa a descrivere le scimmie: e dicono che i loro discendenti siano le scimmie che vivono oggi nelle foreste… perciò la scimmia rassomiglia all’uomo, come ricordo di una creazione umana di uomini che altro non erano se non fantocci di legno…
Ravvisiamo nella descrizione fantocci di legno un essere privo di mente, quasi un robot; quindi una creazione priva di qualsiasi sentimento. Prende quindi consistenza la nuova teoria secondo la quale sono le scimmie a derivare da una Razza di uomini sbagliati e non l’uomo a derivare da un branco di animali pelosi, stupidi e, secondo la scienza ufficiale, ribelli alla loro natura e traditori dei loro più naturali e normali istinti animaleschi (Carleton S. Coon nel suo “Storia dell’Uomo”, appare oltremodo sbrigativo nel descrivere l’origine dell'uomo terrestre da un branco di scimmie che, stanche di vivere sugli alberi e di mangiare frutta, cominciò a vivere al suolo e a mangiare carne…!), nemmeno un animale in cattività tradisce i suoi intimi istinti.
È come se noi affermassimo categoricamente che in un lontano futuro, un branco di cani stancatisi di vivere a terra cominciassero a salire sugli alberi a mangiare banane e frutta.
Dopo l’esperimento della Terza razza, ecco che le “Stanze di Dzyan” passano alla descrizione della formazione della Quarta:
Vedendo la qual cosa i Lhâ, che non avevano costruito uomini, piansero dicendo: «Gli Amanâsa hanno disonorato le nostre future dimore…insegniamo loro meglio perché di peggio non avvenga… ». Così fecero. Allora tutti gli uomini divennero dotati di manas… La quarta razza sviluppò la parola (Stanza IX, 33-34-35-36).
Questa volta non i Dyhâni ma i Lhâ, Dei celesti con poteri sovrumani, restarono delusi dalla riuscita di questo terzo esperimento che aveva generato degli esseri Amanâsa, cioè senza Manas, senza mente. E allora corsero ai ripari: aggiunsero qualcosa per cui la Terza Razza sviluppò la parola e divenne così la Quarta razza che, se pur non proprio gradevole dal punto di vista estetico, divenne intelligente.
Ma ecco che l’intelligenza sviluppò evidentemente anche la malignità e la cattiveria per cui ricominciarono i guai:
La Terza e la Quarta divennero gonfie di orgoglio: Noi siamo i re, noi siamo gli dei. Essi presero mogli belle a vedere. Mogli dai senza-mente, da quelli dal capo schiacciato: essi generarono dei mostri, demoni malvagi maschi e femmine, anche Khado, con piccole menti… (Stanza X, 40-41)..
Si deve quindi dedurre che la Terza Razza, mal riuscita, non fu annientata ma fu rifinita e modificata; tuttavia molti esemplari dovettero rimanere, specialmente donne, per cui da questi accoppiamenti si generò una Razza cattiva con la comparsa di Khado, ovvero esseri inferiori con piccole menti.
Ricapitolando: dalla Terza Razza modificata (cioè dotata di mente) si ebbero due specie: una originata da accoppiamenti di appartenenti dalla Terza modificata e una originata da accoppiamenti della Terza modificata con donne della Terza non rifinita.
Avvenne quindi che la Quarta Razza, invece di progredire, ottenne dei processi involutivi fisici e mentali rispetto alla dotazione del Manas, difatti il senso della ragione, a poco a poco, fu adoperato sempre più per scopi anormali e malefici:
Eressero templi al corpo umano. Essi adorarono il maschio e la femmina. Allora il terzo occhio cessò di funzionare… (Stanza X, 42).
Il senso della ragione quindi, era servito esclusivamente ad erigere Templi al corpo umano, ad abbrutirsi in una errata Religione e ad atrofizzarsi nel ‘culto di se stessi’: fu una Razza forte e tuttavia malvagia, che dimenticò ben presto i propri Costruttori.
Fu questa la famosa Razza dei Giganti:
Essi fabbricarono immense città. Fabbricarono con terre e metalli rari dei fuochi vomitati, della pietra bianca delle montagne e della pietra nera. Essi scolpirono le proprie immagini, della propria grandezza e somiglianza e le adorarono. Essi fabbricarono grandi immagini, grandi nove yati, statura del loro corpo… (Stanza XI, 43-44).
Costruire immagini a propria grandezza e somiglianza adoperando lava (fuochi vomitanti), marmo (pietra bianca) e basalto (pietra nera) significa già essere in possesso di tecnologie avanzate; il costruirle poi alte nove yati, statura del loro corpo, sta ad indicare che quegli esseri erano alti dagli otto ai nove metri.
Infatti 1 yati è pari a 3 piedi, il che significa un totale di ben 27 piedi; sviluppando le indicazioni:
Piede romano antico
- 0, 2960 m = 29,60 cm x 27 = 799,2 cm = 8 m
Piede parigino
- 0,3268 m = 32,68 cm = x 27 = 822,36 cm = 8 m e più.
Piede inglese
- 0,3047 m = 30,47 cm = x 27 = 822,69 cm = 8 m
Se volessimo poi prendere una misura ad occhio, nel senso di calcolare il piede con una media di 25 cm, il risultato sarà 25 x 27 = 675 cm pari a circa 7 m.
Rimandando il cortese lettore al capitolo diciannovesimo per altri studi sulla Razza dei Giganti - in special modo quelli descritti dalla Bibbia e da quel grandissimo personaggio che fu Enoch - continuiamo la presentazione delle “Stanze di Dzyan”, riguardo la scomparsa della Quarta Razza:
L’acqua minacciava la Quarta. Le prime grandi acque venenro. Esse inghiottirono le sette grandi isole. Tutti i santi salvati, gli empi distrutti. Con questi, molti degli animali colossali prodotti dal sudore della terra… (Stanza XI, 45-46).
Si fa quindi espresso riferimento ad una catastrofe avvenuta sul pianeta Terra nella notte dei Tempi, per cui potrebbe essere sia il ben noto Diluvio universale, sia la scomparsa del continente di Atlantide, sia la caduta di un immenso meteorite e sia l’esplosione e la disintegrazione di un intero pianeta del sistema solare. Per quanto riguarda il Diluvio, l’avvenimento viene da noi analizzato attentamente al capitolo sedicesimo mentre meritano una breve relazione gli studi effettuati sulla scomparsa di Atlantide e sulla disintegrazione di un grande pianeta del nostro sistema.
Per quanto riguarda la scomparsa di Atlantide, riporteremo quanto scritto nel manoscritto Troano:
Nell’anno 6 del Kan, l’11 Muluc del mese di Zac, si produssero tre tremendi terremoti , che continuarono senza interruzione fino al 13 Chuen. La contrada delle Colline d’Argilla e il paese di Mu furono sacrificati. Dopo essere stati squassati in due riprese, disparvero improvvisamente durante la notte; le forze vulcaniche facevano abbassare e sollevare continuamente il suolo in parecchie località, finché cedette e le contrade furono di conseguenza separate le une dalle altre e poi disperse. Non potendo esse resistere alle tremende convulsioni, si sommersero, trascinando con sé 64.000.000 di abitanti. Ciò accadde ottomila anni prima della composizione di questo libro.
Il manoscritto Troano data 1.500 anni a.C. e venne tradotto dall’abate Charles Etienne Brasseur de Bourbourg nel 1864; ha quindi 11.490 anni [cioè, nel 2008, è antico di 11.508 anni]. Riferendoci all’esplosione di un intero pianeta del sistema solare diremo che Thomas van Flandern, affermò nel 1976, dopo minuziosi calcoli effettuati sulle orbite di 60 comete, che 16 milioni di anni fa esisteva un grande pianeta situato fra Marte e Giove, e che si disintegrò a causa di una violentissima esplosione, scaraventando nello spazio un’immensa quantità di frammenti che oggi formano le ben note fasce di asteroidi. Anche il grande Giovanni Keplero (1571-1630) nelle sue Leggi osservava: Tra Marte e Giove io colloco un pianeta.
Nel capoverso in esame si fa anche implicito riferimento alla scomparsa di animali colossali, il che dovrebbe equivalere alla cosiddetta scomparsa dei dinosauri: un modo come un altro per indicare la scomparsa di tutta la vita sulla Terra.
Il discorso diventa un po’ complicato quando si prende in esame la frase: Tutti i santi salvati, gli empi distrutti. Forse si allude alla salvezza dei prescelti (tipo Noé) tuttavia non si fa menzione a costruzioni di mezzi speciali atti a portare in salvo coloro che avrebbero dovuto perpetuare i contatti tra la razza terrestre dei sopravvissuti e le Divinità Costruttrici.
La Quinta Razza, quella presente sulla Terra, sembra non abbia ricevuto alcun intervento di ingegneria genetica; è rimasta quella uscita malconcia, ma salva, da una catastrofe procurata.
Una Razza che si avvaleva di alleanze e patti con gli Dei, visti i precedenti e fallimentari tentativi; una Razza presumibilmente mista ad incroci con le stesse Divinità per cui potrebbero essere sorte due Stirpi: una direttamente apparentata con gli Esseri superiori ed una prettamente terrestre.
Dimostrare questa ipotesi è difficile o quanto meno richiederebbe fiumi d’inchiostro (…).
Dopo la catastrofe ecco la discesa degli Dei, contenti per quella loro selezione e appagati forse, nella loro vendetta: La Quinta prodotta dalla santa schiatta rimase: era governata dai primi re divini. I serpenti che ridiscesero, che fecero pace con la Quinta, che l'ammaestrarono e l'istruirono… (Stanza XII, 48-49).
Ecco quindi gli Dei che, nella loro infinita pazienza, ridiscendono tra i sopravvissuti per portare Leggi e impartire direttive ma anche per comminare esemplari punizioni e scatenare guerre… Sono Essi che hanno dato inizio alle religioni del Mondo.
L'analisi condotta da Valentino Compassi è puntuale e, per quanto presenti il limite innegabile della mancanza di sicure testimonianze storiche a conferma del quadro delineato nel “Libro di Dzyan”, dobbiamo riconoscere che tale limite è oggettivo perché, almeno allo stato attuale delle nostre conoscenze, non è possibile fare la storia della Terra e dei suoi antichissimi abitanti, ma solo affidarci alle labili tracce di racconti - come i dialoghi platonici “Timeo e Crizia” relativamente alla vicenda di Atlantide, o come il maya “Popol Vuh” relativamente al racconto del Diluvio - che sono, comunque, testimonianze assai tarde dei fatti che pretendono di descrivere, scritte, cioè, a migliaia di anni di distanza, raccogliendo tradizioni orali che non sono verificabili secondo i moderni criteri scientifici.
Ad ogni modo, una cosa emerge chiara dal “Libro di Dzyan”, e cioè la sconvolgente novità rappresentata dall'affermazione che la vita umana, sul nostro pianeta, sarebbe il frutto di un ‘innesto’ da parte di creature aliene; che vi sarebbero state più razze umane, succedutesi nel tempo mano a mano che venivano distrutte dai loro "costruttori" perché non ritenute idonee; e che una risonanza di tali vicende si trova nelle religioni storiche, che avrebbero deificato i "superiori" venuti dallo spazio.
(Fine della prima parte)
NOTE
1) Cfr. Francesco Lamendola, Il giardino d'inverno, pubblicato sulla rivista Graal, n. 9, maggio giugno 2004; ma rivisto e ampliato nel 2007 per il sito di Arianna.
2) Cfr. Francesco Lamendola, Gli dei mostruosi venuti dallo spazio. Letture e riflessioni dall'opera di H. P. Lovecraft, consultabile sul sito di Arianna Editrice.
3) Cfr. Helena P. Blavatskij, La dottrina segreta, vol. I e II, Vicenza, Edizioni Teosofiche Italiane, 1997.
4) Sylvia Cranston, The Exytraordinary Life and Influence of Helena Petrovna Blavatskij, New York, Tarcher-Putnam, 1993, p. 384.
5) Cfr. Francesco Lamendola, Da dove vengono le materializzazioni del pensiero?, sul sito di Edicolaweb e di Arianna Editrice
6) Yves Naud, Les Extra Terrestres et les O. V. N. I. dans l'histoire, traduzione di Gian Luigi Vallotta, Edizioni Ferni, Ginevra, 1977, 3 voll., vol. 1, pp. 159-162.
7) Cfr. Paola Giovetti, I grandi iniziati del nostro tempo, Milano, Rizzoli, 1993, p. 94.
8) Cfr. Francesco Lamendola, Il pensiero mitico è diverso, non certo diverso da quello scientifico, sul sito di Arianna Editrice.
9) Valentino Compassi, La colonna di fuoco. Origine interplanetaria delle religioni, Gardolo di Trento, Luigi Reverdito Editore, 1990, pp. 27-37.
A cura di Francesco Lamendola
Revisione di Fabrizio Garro
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