venerdì 10 maggio 2019

LA RUOTA FORATA - IL CERCHIO SACRO DEI POPOLI NATURALI


LA RUOTA FORATA



IL CERCHIO SACRO DEI POPOLI NATURALI 

 




Esiste su tutto il pianeta un simbolo antichissimo che ricorre in culture diverse e lontane tra di loro. Un simbolo che nel suo aspetto base è rappresentato da un cerchio con un foro al centro, un disco forato, ma che si arricchisce, a seconda delle varie culture etniche, di altri segni simbolici. Questo simbolo grafico lo possiamo ritrovare sotto forma di graffito, tracciato su rocce di tutti i continenti, oppure rappresentato da pietre forate all’interno di templi megalitici, disegnato da pietre allineate sul terreno o sotto forma di scultura o di rappresentazione grafica, o ancora, sotto forma di antico gioiello da indossare costituito da metallo o pietra dura. La sua presenza nella storia dell’uomo risale a tempi antichissimi e compare in culture geograficamente lontane come quella dei Nativi americani, quella dei popoli del nord Europa, o presso gli aborigeni australiani, in Cina o anche nei templi egizi, presso gli Aztechi, i Maya e gli Etruschi.
Ancora oggi, nelle culture dei Popoli naturali di tutto il pianeta, dai Celti agli Indiani d’America, questo simbolo è comune e legato a significati profondamente mistici. Si potrebbe dire che questo simbolo manifesti la più antica e diffusa rappresentazione spirituale di tutto il pianeta. Per la cultura dei Nativi americani il Cerchio Sacro è un simbolo fondamentale, in quanto rappresenta la manifestazione di Wakan-Tanka, il Grande Mistero, che per tutti i Nativi d’America è il massimo riferimento spirituale, il principio creatore su cui si regge tutto l’universo conosciuto.
Interessante notare che Wakan-Tanka significa letteralmente Grande Mistero, da Wakan (mistero) e Tanka (grande), e secondo la concezione filosofica degli Indiani d’America sta ad indicare il grande abisso che circonda l’uomo, il Mistero da cui ogni cosa proviene e nel cui Segreto si può trovare il significato dell’esistenza. Wakan-Tanka venne tradotto dai gesuiti del tempo come “Great Spirit”, ovvero “Grande Spirito”, una traduzione che rispecchiava l’influenza cristiana e che poi rimase, deformando il senso profondo del termine originale. Anche il nome del simbolo, che per i Lakota è definito “Ciangleska Wakan” (Cerchio Sacro), non è stato compreso nella sua profondità, e ancora oggi questo cerchio viene comunemente chiamato “medicine-wheel”, ovvero “ruota della medicina”. Anche questa traduzione, fatta dai colonizzatori in modo inesatto, ha origine nel fatto che gli sciamani delle varie tribù indiane, ribattezzati con il nome di “medicine-men”, usavano, nelle pratiche terapeutiche e nei loro riti sciamanici una pietra forata di turchese e lapislazzuli o di cristallo di rocca. Ma il simbolismo del Cerchio Sacro è molto più complesso. Per i Nativi nordamericani è l’emanazione stessa di Wakan-Tanka e rappresenta il cerchio sacro all’interno del quale avviene la grande trasformazione che permette all’universo e all’uomo di esistere. In questa prospettiva, il simbolo è stato anche identificato con Madre Terra, intesa come il tramite con il Grande Mistero, dispensatrice di vita e di evoluzione. Questo stesso simbolo, con i medesimi significati, è molto diffuso nelle culture pre-cristiane del nord Europa. Presso i Celti il disco forato, chiamato nella sua definizione più arcaica “Shahqt-mar”, era il simbolo del Cerchio Sacro al cui interno avveniva il processo evolutivo che portava alla trasformazione alchemica della sostanza dell’universo, da materia inanimata a spirito, in una continua trasmutazione degli elementi. 

Ancora oggi nei Paesi celtici il simbolismo del Cerchio Sacro è conosciuto con lo stesso significato anche se con nomi diversi, come “kelc’h” che per i bretoni indica il Cerchio, o sempre in Bretagna, Rod (la ruota). “Fàinne” è invece il disco forato in lingua irlandese. La famosa Tavola Rotonda del mito arturiano del Graal è anch’essa una rappresentazione della Shahqt-mar. E’ infatti rappresentata vuota al centro per ospitare le apparizioni del Graal, quest’ultimo inteso come centro creatore dell’universo e simbolo dell’immaterialità dell’esistenza. Per comprendere il significato filosofico del simbolo occorre risalire alla concezione filosofica delle culture dei Popoli naturali, che sono sostanzialmente diverse da quelle delle grandi religioni. Secondo i Popoli naturali, l’universo e tutto ciò che esso contiene fanno parte di un medesimo processo formativo, unitario e continuativo, che nell’antico druidismo prendeva il nome di Shan, ovvero l’esistenza sul suo piano reale e globale. Il principio creatore attiva in continuazione una grande magia: quella magia che permette alla terra, al cielo e a tutto ciò che convive in essi, di manifestarsi e continuare ad esistere in modo armonico. Questo processo avviene all’interno di un cerchio sacro che ne delimita l’azione, una sorta di crogiuolo alchemico dove avviene la trasformazione che anima il processo evolutivo universale. L’individuo può partecipare a tale processo ed evolversi nel suo microcosmo, a patto che non si discosti dal cerchio sacro che protegge la sua evoluzione. Ma il cerchio sacro rappresenta tutto l’esistere, ecco pertanto che l’individuo deve rendersi conto che la sua casa è il mondo intero, i suoi confini sono il grande abisso infinito che lo circonda. Nella consapevolezza della sua dimensione cosmica l’individuo può espandere la sua coscienza a tutto l’universo. Se vuole crescere, deve guardarsi intorno e prendere insegnamento dalla terra, dal cielo, dagli astri e da tutto ciò che vive nell’universo. La presenza del Mistero è in ogni cosa, e ogni cosa è profondamente affratellata all’uomo. Una variante della medicine-wheel è il cerchio con la croce in mezzo. Le braccia della croce simboleggiano i quattro punti cardinali e questa variante sta ad indicare ancor più precisamente l’espansione dello spirito verso tutte le direzioni possibili fino ad abbracciare tutta l’esistenza per parteciparvi sul suo piano reale e globale. Questa variante del simbolo è presente anche nei popoli del nord Europa: ci riferiamo alla croce celtica dei Nativi europei. La croce celtica, che nella sua forma più arcaica è rappresentata da un cerchio esterno con una croce inscritta e un cerchio interno vuoto in mezzo, è la rappresentazione grafica di un insegnamento che si traduce in un complesso simbolismo che nelle scuole druidiche veniva insegnato come la filosofia della “triade” e della “tetrade”, l’aspetto più sacro dell’insegnamento druidico.
Il simbolismo della croce celtica contiene le indicazioni per comprendere i tre mondi dell’uomo, il corpo, la mente e lo spirito, e contemporaneamente esprime anche il cammino per giungere alla conoscenza del Mistero riferito all’intima natura dell’esistenza. L’arte del megalitismo, presente su tutto il pianeta è la manifestazione evidente delle origini arcaiche della tradizione comune dei Popoli naturali. Conserva il simbolo del cerchio sacro nella sua forma più arcaica, disegnato da grandi cerchi di pietre erette (i cromlech) di cui abbiamo testimonianze in tutti i continenti. Ma anche sotto forma di pietre forate: famose quelle di Cornovaglia e Bretagna. In questa chiave si potrebbe rivisitare il significato di certi tumulus circolari e vuoti dentro, come ad esempio quelli dell’imponente tempio di Clava Cairn, in Scozia. I tumulus sono stati considerati dagli archeologi come monumenti funerari, anche se solo in pochi casi sono stati ritrovati resti di sepolture all’interno; ma nulla vieta di pensare che in realtà fossero templi ispirati al simbolismo del Cerchio Sacro. Lo stesso si potrebbe ipotizzare per le famose coppelle, abbondanti nei ritrovamenti archeologici di tutto il pianeta. 





IL MITO DELLA RUOTA D’ORO DELLA CITTA’ DI RAMA 

 


 

Le leggende di molti Popoli naturali, dai Nativi europei agli aborigeni australiani, parlano della discesa dal cielo di una conoscenza che rivoluzionò la storia del pianeta.
La cultura giudaico-cristiana parla della caduta dal cielo di uno smeraldo che venne trasformato dagli angeli dell’Eden nella coppa del Graal, affidata ad Adamo ed Eva. Secondo l’ermetismo alchemico, a seguito della cacciata dall’Eden la coppa venne ereditata da Osiride e dopo la sua morte, causata da Seth, la coppa andò perduta. In seguito Artù e i cavalieri della Tavola rotonda impegnarono tutta la vita alla sua ricerca per portarla a Camelot allo scopo di rinnovare il perduto Eden. L’Alchimia interpretò lo smeraldo caduto dal cielo come una fonte di conoscenza associando la parola Graal all’acronimo: “Gnosis Recepita Ab Antiqua Luce”. L’Alchimia lo legherà alla simbologia della Tavola di smeraldo di Ermete Trismegisto e nel concetto di “Lapis exilis”, sinonimo della Pieta filosofale alchemica discesa dalle stelle.
Platone riportò nelle sue opere un mito assimilabile a quello del Graal, il mito greco della caduta di Fetonte, che con il suo carro celeste precipitò in una zona europea dove si incrociano due fiumi. Secondo le tradizioni druidiche della Valle di Susa, in Piemonte, Fetonte cadde nell’area subalpina. Esse riportano che sulle pendici del monte sacro “Roc Maol” (il nome celtico del monte Rocciamelone) esisteva una confraternita di mestiere che si riferiva al fuoco come emanazione del sole e con cui fondeva e lavorava i metalli. Quando nella valle del Po cadde il dio con il suo carro, essi raccolsero le sue spoglie e le portarono al Tempio del Fuoco sulle pendici del Roc Maol per venerarle e custodirle. I resti del carro solare celeste vennero fusi dando forma ad una grande ruota d’oro forata, del diametro di 2 metri. Da questo memorabile evento ebbe inizio la Scuola iniziatica del Fuoco che si trasformò in seguito nella Scuola druidica omonima che operò per migliaia di anni sul continente europeo in relazione con la civiltà di Ys del bacino del Mar Nero.  La Scuola, prendendo a riferimento la sua esperienza di pratica operativa della fusione dei metalli, sviluppò la dottrina alchemica della trasformazione della materia come atto simbolico della possibilità di portare l’Iniziato dal visibile alla qualità invisibile dell’esistenza. Per tale motivo questa Scuola divenne capostipite dell’Arte druidica e nei millenni successivi questa Arte, trasmessa nel tempo, divenne l’Arte Regia dell’Alchimia sul continente europeo.
Intorno a questo antico santuario venne quindi edificata la grande città-fortezza di Rama che si espanse per decine di chilometri nella valle di Susa in direzione del fiume Po. Una città megalitica che fu meta degli antichi Pelasgi in cerca di una nuova terra dopo il diluvio e successivamente, secoli più tardi, da parte di dignitari dell’antico Egitto. 





IL MITO DELLA ROCCIA FORATA

 


 

Un mito arcaico del patrimonio dell’antico druidismo europeo:
All’inizio c’era solo l’abisso primordiale che precipitava su se stesso, come una cascata fragorosa di un fiume ribollente e urlante che si rigenerava senza fine là da dove finiva.
Dalle nebbie dell’abisso ribollente nacque la Terra.
Quando la Terra fu completa non era ancora abitata dall’uomo. C’erano le piante a coprire l’intera Terra come una grande foresta. I progenitori non erano ancora comparsi. C’erano solo i terribili signori della notte, invincibili e dominatori di tutto ciò che aveva preso a vivere sulla Terra.
Fu allora che il Drago primordiale vide le loro iniquità e decise di cancellare la loro presenza sulla Terra. Gettò al suolo un grande masso di roccia schiacciandoli e così li cancellò per sempre dalla memoria.
Il suolo tremò e il cielo si oscurò. Quando la quiete ritornò sulla Terra ammutolita il Drago si mise a creare i progenitori perché costoro potessero partecipare alla sua forza e al suo potere.
Creò i progenitori e visse tra di loro ospitandoli nella sua Terra segreta come figli. Quando costoro furono in grado di camminare li condusse al luogo dove c’era la grande roccia. Ai piedi della pietra c’era l’albero che dava vita ai morti e faceva rinascere quelli che già erano nati.
La pietra era immensa e rotonda. Al centro c’era un grande foro, anch’esso rotondo, che l’attraversava per tutto il suo spessore.
Dentro al foro non c’era nulla. C’era solo il vento che l’attraversava con lo stesso fragore del fiume ribollente e urlante dell’abisso su cui si trovava appoggiata la Terra.
Il drago si pose al centro della roccia forata e disse ai progenitori: “Questo vuoto non è qui per caso. Esso rappresenta il riflesso opposto alla solidità della pietra che vedete adesso con i vostri occhi di sempre.
Ma se saprete guardare meglio, nel vuoto che è mostrato dalla roccia potrete leggere il segreto di tutte le cose e da dove viene e dove va il fiume primordiale su cui si sostiene la Terra. E questo sarà il segno del potere dei progenitori”.
Il Drago aggiunse ancora: “Il mio posto non è su questa Terra e sto per andare via. Prima però vi faccio dono di questa pietra che lascio per voi. Se imparerete a leggere la roccia lungo il suo bordo troverete i suoi ventidue angoli segreti che riveleranno come guardare questo vuoto e come giungere al centro che gli dà forma”. I progenitori ascoltarono e capirono che per poter leggere i segreti angoli della roccia dovevano imparare a tacere e a guardare. Così, dopo che il Drago li lasciò seguendo il cammino dove porta il sentiero dell’arcobaleno, andarono a sedersi all’ombra del grande albero che era nato tra il cielo e la Terra per ottenere il Potere che era stato loro promesso.

Questa è la storia dei nostri progenitori. Questa è la memoria che conserviamo dei tempi antichi. Questo è l’inizio che fu dato alle nostre vite e a quelle che seguiranno ancora dopo di noi. 



Dal Libro “Miti e Leggende dello sciamanesimo druidico” a cura di Giancarlo Barbadoro e Rosalba Nattero
Triskel Edizioni, Torino

 

 

 

 

 

 

 

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