La tradizione della Città di Rama e il mito del Graal
La raffigurazione della leggenda di Fetonte in una
incisione del 1800
– Il mito celtico del Graal
Una vasta regione, che oggi si estende dal Piemonte alla
Savoia e alla Provenza fino a raggiungere la Ligura e la Valle d’Aosta, è stata
testimone di eventi straordinari che rappresentano le radici culturali di
quelle stesse terre e di tutto il continente europeo.
Le leggende e le tradizioni di tutta Europa parlano della
caduta dal cielo, nell’area della Valle di Susa, di un oggetto di origine
divina, portatore di conoscenza sulla Terra, che avrebbe dato il via ad una
tradizione iniziatica ancora esistente nel nostro tempo.
Queste leggende sembrano coincidere con il mito greco dei
primi Dei che, come dice Platone, si divisero il nostro mondo in precise aree e
le organizzarono per poter donare la loro conoscenza alle creature di allora.
Mito che sembra riecheggiare quello aborigeno riguardante la venuta sulla
Terra, in tempi antichi, dei Signori della Fiamma che diedero vita al
“Dreamtime”, la loro dimensione segreta di vita, modificando l’ambiente del
pianeta per adattarlo ai bisogni degli esseri umani.
Mito che si può anche riallacciare alle leggende nordiche
relative alle vicende degli Asi, gli antichi Dei del nord, progenitori
dell’umanità.
Queste leggende parlano della sconfitta, da parte degli
Asi, dei giganti che dominavano la Terra ai primordi della storia. Gli Asi
furono aiutati da Loki, il figlio ardente del tuono e della tempesta caduti
come un colpo di martello sulla terra. Insieme liberarono il pianeta dai ghiacci
e consentirono in seguito a Odino, il loro re, di creare un mondo che
risultasse adatto per l’umanità a cui egli stesso aveva dato vita e che fu
posta in una sorta di eden, protetto da una muraglia circolare fatta di pietre.
Le leggende europee, confermando la narrazione di Platone
circa gli Dei che si spartirono la Terra per allevare gli uomini, raccontano
che in questa vasta zona la caduta dell’oggetto diede vita ad un “recinto”,
un’area protetta, in cui gli esseri viventi dell’epoca poterono accedere a
conoscenze profonde della scienza e dello spirito. Qui nacquero le scuole
iniziatiche dei grandi saggi che diedero vita alle tradizioni che si diffusero
poi in tutta Europa e che continuerebbero ancora nel nostro tempo.
L’evento riguardante la caduta dell’oggetto di natura
divina è riportato nella tradizione ellenica dalla leggenda di Fetonte, figlio
del re Sole, il quale, non sapendo guidare il carro celeste del padre, sarebbe
precipitato al suolo. Gli uomini, rinvenuti i resti del carro celeste,
avrebbero tratto da essi la conoscenza divina che conteneva.
Nelle Metamorfosi di Ovidio, poeta latino di Sulmona
vissuto intorno al 30 a.C., il testo cita l’avventura di Fetonte, figlio del
dio Sole, che salì sul carro del padre per provare a guidarlo pur essendone
incapace, e finì per perdere il controllo del mezzo celeste. Così si avvicinò
troppo alla Terra che cominciò ad incendiarsi. Zeus, il sommo dio dell’Olimpo,
accortosi di ciò che stava accadendo, per salvare la Terra dalla distruzione
provocata dal calore emanato dal carro solare, lanciò un fulmine sul figlio.
Fetonte fu così sbalzato dal carro celeste e cadde sulla Terra precipitando nel
fiume Eridano, l’antico nome del Po.
La tradizione druidica vuole che il carro di Fetonte sia
caduto in un luogo che si trovava all’incontro di due grandi fiumi, nella zona
dove oggi si uniscono la Dora e il Po. Una zona identificabile nell’area che
comprende l’attuale città di Torino e parte della Valle di Susa.
Fa eco al mito di Fetonte quello relativo alla discesa del
Graal. Il mito narra in termini di allegoria antropomorfa la vicenda di una
creatura semidivina che in tempi molto antichi precipitò dal cielo finendo per
cadere sulla Terra. Nella caduta, lo smeraldo che adornava la sua fronte si
staccò precipitando al suolo. Altre creature semidivine lo raccolsero
modellandolo in forma di coppa e lo consegnarono ad Adamo nell’Eden, affinché lo custodisse e se ne avvantaggiasse.
Quando Adamo dovette abbandonare l’Eden, portò la coppa con
sé. Attraverso la sua discendenza, la coppa del Graal giunse nelle mani di
Osiride, dio tutelare dell’Egitto. Quando Osiride fu ucciso a sua volta per
mano di Set e il suo corpo venne da questi smembrato e disperso per tutta la
terra, la coppa andò perduta. Così gli uomini persero la loro preziosa fonte di
conoscenza.
Molti secoli più tardi, nella città di Camelot in Armorica,
re Artù, aiutato dal druido Merlino, radunò dodici cavalieri, riunendoli in
cerchio attorno alla nota Tavola Rotonda, con lo scopo di ritrovare la preziosa
coppa del Graal. Riportata la coppa a Camelot, re Artù cercò di utilizzarla per
ricostruire un nuovo Eden, ma non tutti i cavalieri erano capaci di sostenere
la conoscenza che essa conteneva, tanto che il Graal appariva e scompariva nel
centro vuoto della Tavola Rotonda. La ricerca moderna del Graal ha coinvolto
organizzazioni iniziatiche di ogni genere, dai Templari sino ai gruppi
esoterici più disparati.
Gli alchimisti di ogni tempo, nel segreto dei loro
“athanor”, i fornelli alchemici in cui trasmutavano le qualità dello spirito,
cercarono di riprodurre la pietra filosofale che avrebbe consentito di accedere
al segreto della “lapis exillis”, la “pietra di conoscenza caduta dal cielo”.
Platone, il filosofo ateniese del 400 a.C., in merito alla
leggenda di Fetonte, che si riallaccia a quella del Graal, sostiene che essa,
come tutte le leggende, non è altro che una favola per bambini che nasconde un
vero significato, ovvero la narrazione della caduta di uno dei tanti oggetti
(potremmo identificarli come asteroidi) che navigano attorno alla Terra e che
ogni tanto, a caso, cadono su di essa provocando morti e distruzioni.
In effetti, se si osservano le foto satellitari eseguite
sul nord Europa, si può scorgere sul suolo piemontese l’impronta livellata dal
tempo di un antico impatto avvenuto presumibilmente milioni di anni fa. In
un’epoca in cui probabilmente vivevano ancora i dinosauri, prima della loro
inspiegabile scomparsa.
Ma come valutare questo dato? Secondo la scienza a quel
tempo non doveva ancora esistere la specie umana. Come ha fatto a sopravvivere
il ricordo dell’accaduto?
Chi ha perpetuato la narrazione di quello straordinario
evento? Esistevano forse altre forme di vita intelligente che poi trasmisero le
loro conoscenze alla successiva umanità?
C’è anche da chiedersi per quale motivo, trattandosi solo
della caduta di un asteroide, l’antica tradizione abbia attribuito a quell’oggetto
un significato riferito ad una fonte di conoscenza. Non va dimenticato che la
parola Graal, secondo gli alchimisti medievali, è in realtà l’acronimo di
“Gnosis recepita ab antiqua luce”, ovvero “conoscenza ricevuta da una antica
luce”.
Una riproduzione della ruota d’oro lasciata da Fetonte agli
uomini per trasmettere la sua conoscenza segreta.
– Il mito del Graal e la città ciclopica di Rama
È indubbio che questa zona dell’Europa fu teatro di un
evento di portata significativa per le creature viventi di quei tempi ed
esercitò un richiamo di interesse mistico per molte altre culture di tutti i
tempi e di ogni luogo del continente. Alcuni autori riportano ad esempio che,
molti secoli più tardi, giunse in visita addirittura un principe egizio.
Racconto riportato anche in un testo del 1679, “Historia dell’Augusta Città di
Torino”, ad opera del conte e cavaliere Emanuele Thesauro, dedicato al Reggente
del Ducato sabaudo. In quest’opera si narra che un principe egizio, fratello di
Osiride, detentore del segreto del Graal, venne in questi luoghi dall’Egitto
con il suo esercito personale per impiantarvi una colonia.
Sempre secondo la leggenda fu proprio questo personaggio ad
introdurre in zona il culto del dio Api, il toro divino dell’antico Egitto, da
cui prese poi il nome la popolazione dei Taurini e la stessa città di Torino,
sorta secoli dopo. Sempre in quest’opera, al principe egizio, che morì annegato
nel Po durante una corsa forsennata su una quadriga, fu dato il nome di Fetonte
Eridano. Dopo la sua morte il suo nome venne dato al fiume dove era perito e
che corrisponde all’attuale fiume Po.
Non si deve dimenticare che proprio nella Valle di Susa,
subito dopo il diluvio ricordato in tutte le tradizioni del pianeta, e
presumibilmente dopo la scomparsa della grande civiltà del bacino del Mar Nero,
venne edificata la misteriosa città ciclopica di Rama.
Le antiche cronache della Valle di Susa, nel nord Italia,
riportano l’esistenza, in epoche remote, di una città ciclopica chiamata Rama.
La città, dalle descrizioni, potrebbe assomigliare alle fortezze megalitiche
peruviane e dell’Oceania. Le leggende dei secoli successivi aggiungono che
questa mitica città fu uno dei luoghi dove venne conservato per un certo
periodo il Graal.
Il mito della città sopravvisse ai secoli a mezzo delle
tradizioni orali del druidismo locale e grazie ai ricercatori di inizio secolo
che raccolsero dati di prima mano e conferme documentate della sua esistenza.
La cima del Roc Maol, in Val di Susa. In Epoca romana,
ospitava sulla sua cima un tempio dedicato a Giove
Secondo queste testimonianze, la città megalitica di Rama
si ergeva sulle falde della montagna del Roc Maol, l’antico nome del Monte
Rocciamelone, la cui vetta era stata sede di culti antichi tra cui per ultimo
il culto di Giove. La città era stata costruita con l’uso di grandi blocchi di
pietra. Le sue mura ciclopiche si snodavano per circa 27 chilometri e i suoi
immensi portici in pietra si sviluppavano, per tutta la lunghezza della valle,
sulla direttrice delle cittadine di Bruzolo, Chianocco e Foresto, sulle rive
del fiume Dora.
Rama non era l’unica grande costruzione in pietra, ma
faceva parte di un immenso agglomerato urbano di costruzioni minori che si
estendeva dalla città di Susa alle porte dell’attuale città di Torino. Rama era
la vera e sola città esistente allora, la sede pacifica e intellettuale di un
popolo misterioso.
Sulla sommità del Roc Maol, la montagna su cui si
appoggiavano le mura della città, era posto l’osservatorio da cui i sacerdoti
esploravano il cielo. Se di Rama si conosce ben poco, ancor meno si sa dei suoi
edificatori.
Le leggende locali raccontano che anticamente,
presumibilmente intorno al 3000 aC, un popolo di uomini di pelle scura, forse i
Picti della Scozia, era giunto nella valle e vi si era stabilito. Dopo che
questo popolo si unì con la gente del posto, venne edificata la città
ciclopica. Secondo la leggenda, queste genti, provenienti da una terra
scomparsa a seguito di una grande inondazione, si erano fermate in quelle zone
perchè vi avevano trovato un raro minerale che serviva loro per motivi
misteriosi.
Un’altra leggenda narra invece che gli edificatori di Rama
provenivano dall’India, condotti lì da una guida spirituale di nome Ram, da cui
la città prese il nome.
I racconti del folklore locale riportano che gli
edificatori di Rama veneravano il sole e il fuoco come simboli spirituali.
Erano abili metallurgici, forgiavano oggetti in metallo ed estraevano un
particolare minerale dalle miniere del Bosco Nero, nella zona di Mompantero.
Dagli studi dei ricercatori del secolo scorso risulterebbe che in seguito i
romani, suggestionati dalle leggende su Rama, ne cercarono i pozzi minerari e
li esplorarono per poter capire che cosa vi si estraesse. Sempre secondo questi
racconti, gli abitanti di Rama erano considerati dei grandi maghi e degli
alchimisti versatissimi nelle scienze esatte quanto in quelle occulte e
possedevano macchine che facevano cose meravigliose.
Ai piedi del Bosco Nero c’era un immenso giardino che gli
autori del secolo scorso definirono come il Giardino delle Esperidi, detto
anche il Paradiso, dove si riunivano i grandi maghi di Rama e dove, molti
secoli più tardi, si ritrovavano le streghe dell’antica religione. Le
narrazioni locali raccolte dai ricercatori riportano che la città venne
distrutta da un grande e improvviso diluvio. Altre ancora raccontano che la sua
scomparsa fu dovuta ad una gigantesca slavina di ghiaccio e pietre che la
spazzò via, seppellendola per sempre sotto i suoi detriti. Se quest’ultimo
racconto si riferisce all’azione morenica dei ghiacci che slittavano lungo la
valle c’è da pensare che la fine di Rama sia avvenuta in epoche molto remote.
Altre narrazioni ancora ricordano un assalto alla città per
depredarla, da parte delle popolazioni locali guidate da Ram, la guida
spirituale dal simbolo dell’Ariete giunta dall’Asia. Forse la città in
principio aveva un altro nome che fu cambiato dopo la conquista di Ram, prima
di scomparire. Altri autori riportano la cronaca di un improvviso terremoto
distruttore nella valle, che rase al suolo la città e questa non venne più
riedificata.
Una libera ricostruzione della città di Rama nella sua
massima estensione urbana
Oggi della ciclopica città di Rama rimangono le tradizioni
che hanno alimentato la cultura druidica dell’area piemontese. Dopo la sua
scomparsa, i druidi del luogo proseguirono la loro opera iniziatica
continuandola in segreto nei secoli seguenti sino al nostro presente.
Le tracce di questa città rimangono vive nelle molteplici
leggende locali e nei nomi di vari luoghi dell’area su cui sorgeva Rama, come
il “bosco di Rama” o il borgo di “Ramat”, e in molti cognomi di persone. Ancora
oggi nell’area di Mompantero esistono leggende locali che narrano in maniera
molto esplicita eventi relativi alla città di Rama e alla sua scomparsa.
Secondo le leggende, non tutti i suoi abitanti scomparvero a causa della
catastrofe che distrusse l’antica città, ma una parte di loro si salvò e
costruì una città segreta nelle viscere rocciose del Roc Maol, dove i
sopravvissuti si rifugiarono mantenendo nascosta la loro esistenza. Altre
leggende asseriscono che all’interno del Roc Maol vi sarebbe un mago benevolo
che veglia su un immenso tesoro fatto di monili preziosi e di strumenti magici.
Altre leggende ancora affermano che in posti segreti, conosciuti solo a pochi
valligiani, sono rimasti strumenti di scavo e varie strane macchine che furono
usate dagli abitanti di Rama con le quali è possibile fare ancora oggi delle
cose straordinarie.
Alla fine del secolo scorso, nel campo di un contadino del
luogo, fu ritrovato un sarcofago in pietra di 3 metri della cui origine nessuno
ha saputo dare una spiegazione e che potrebbe essere collegato alla mitica
civiltà di Rama.
Una pagina del "Libro d’Oro di Fetonte":
il "Tai Saar i Mnai" (Libro del Cielo e della Terra)
– Il mito del Graal nelle leggende del Piemonte
Le antiche leggende della Valle di Susa collegano la città
di Rama al mito del Graal e sostengono che il mitico oggetto veniva custodito e
protetto dai suoi misteriosi abitanti. Nello stesso modo in cui sopravvivono
ancora oggi le leggende e i reperti storici legati al mito di Rama, in Piemonte
sono ancora vive le testimonianze culturali e storiche della presenza locale
del Graal.
Possiamo citare la leggenda di San Eldrado in cui si può
intravvedere un evidente legame con la figura di Merlino e con il ciclo
arturiano del Graal.
La leggenda si riferisce alle vicende di un nobile e ricco
signore provenzale, divenuto monaco e responsabile dell’Abbazia di Novalesa,
che si conquistò una fama di gran santità per le sue opere e per i suoi
miracoli. Questa figura ricorda quella di alcuni santi bretoni, come Saint
Cornely di Carnac, vescovo a tutti gli effetti, ma raffigurato in una statua
con il falcetto d’oro dei druidi in una mano e il vischio nell’altra.
San Eldrado era noto per i suoi miracoli. Guariva con
l’imposizione delle mani, specificità terapeutica dei druidi, ed era legato ad
una particolare fontana che le successive tradizioni cristiane riportano come dispensatrice
di olio benedetto. Nei suoi ritiri spirituali San Eldrado meditava con la
musica che, si dice, avesse appreso dagli usignoli delle foreste. Come Merlino,
il santo venne intrappolato in una foresta da un sonno che durò per 300 anni.
La stessa leggenda racconta anche che fece addirittura un viaggio nel tempo con
un salto di 100 anni nel futuro.
Possiamo ancora citare la leggenda della caverna del Mago,
situata nel Musiné, una montagna ad ovest di Torino da cui si apre l’accesso
alla valle di Susa, colma di simbolismi legati al mito del Graal.
Le tradizioni valligiane narrano che in una grotta posta
nel cuore del Musiné vivrebbe un mago che si era nascosto per compiere
indisturbato i suoi esperimenti con gli strumenti rimasti della scomparsa città
di Rama.
Una leggenda medievale della Valle di Susa narra che in una
caverna segreta, celata in una delle montagne, un drago custodirebbe il Graal.
A difesa del luogo ci sarebbe un enorme dragone tutto d’oro
pronto a distruggere con il suo fiato infuocato ogni intruso che tentasse di
avventurarsi all’interno delle grande caverna.
In una piccola cripta esisterebbe uno smeraldo di immenso
valore mistico, grande quanto un pugno di una mano d’adulto, da cui si
diffonderebbe una intensa e limpidissima luce verde che illumina tutto intorno.
La leggenda riporta che un signorotto del luogo, un certo
Gualtiero, cercò di penetrarvi con degli uomini armati per appropriarsi dei
tesori che sarebbero stati nascosti in questa caverna.
Entrarono in una sala illuminata dove sembrava che la luce
venisse emanata dalle pareti stesse. Trovarono il mago seduto davanti ad una
fontana d’acqua che sgorgava dalla roccia.
Il mago invitò gli intrusi a guardare nell’acqua del
laghetto che all’improvviso divenne lattea e mostrò delle immagini che andavano
formandosi. Gualtiero e i suoi armati videro cosiì apparire in sequenza soldati
con armature che si combattevano, soldati vestiti solo con abiti blu e cappelli
a tricorno che sciamavano con archibugi in pugno, quindi grandi uccelli di
metallo che lasciavano cadere oggetti che distruggevano una grande città e
infine bruchi metallici che si muovevano tra le rovine della stessa città.
Gli intrusi, terrorizzati per quello che avevano visto,
fuggirono dalla grotta. Ebbero modo di vedere dietro di loro il mago che saliva
verso il cielo scortato da due grifoni tra un rumore assordante. Poi dei massi
caddero dall’alto della montagna e chiusero l’ingresso della grotta che non
verrà mai più ritrovata.
Nella Valle di Susa, della mitica città di Rama rimangono
ancora molte testimonianze megalitiche tuttora visibili. Esistono dappertutto,
dolmen e menhir di ogni dimensione, in valle e sulle pendici del Monte Musinè.
A Villafocchiardo si può osservare una grande pietra coricata su cui sono state
raffigurate le tre fasi della Luna. Nella stessa zona, a San Didero, esiste il
complesso megalitico delle ruote solari. Sulle pendici del Musiné è stata
trovata una stele di cospicue dimensioni raffigurante una dea madre.
Negli anni ’70, sul pianoro denominato Pian Focero, o anche
“il piano dei fuochi”, è stato rinvenuto un tempio solare, dove i druidi
andavano a osservare le stelle. Era un antico luogo di culto che comprendeva
una collinetta e un pianoro, un’ampia area dove si riunivano i fedeli del
culto.
La collinetta che domina il luogo ricorda molto il fronte
di una piramide Maya. Vi si può trovare anche una scala intagliata nella pietra
che sale sino alla cima, dove sono stati rinvenuti tre “mascheroni” di fattura
tolteca. Sul fronte della collinetta sono stati rinvenuti numerosi bassorilievi
intagliati nella pietra, raffiguranti il sole fiammeggiante.
Possiamo ricordare la sopravvivenza, per millenni e fino ai
giorni nostri, della cultura druidica che aveva come fulcro il culto solare e
quello del fuoco e che ancora viene celebrata da alcune comunità contadine
della valle con riti segreti che riuniscono centinaia di persone di ogni
villaggio della valle.
Sino al secolo scorso erano noti i riti eseguiti dai
“calderai”, le corporazioni metallurgiche della valle, che in certi periodi
dell’anno si riunivano a danzare freneticamente intorno a grandi fuochi accesi
in onore delle energie del fuoco e in ricordo del potere del sole. La divinità
solare era celebrata per aver donato il carro celeste da cui era stato ricavato
il grande disco d’oro forato, fulcro della cultura spirituale della zona.
Parte dei resti delle mura di Rama che si possono ancora
osservare in Val di Susa. La loro struttura ricorda quella delle mura delle
fortezze lasciate dai Pelasgi nell’area del Circeo nel Lazio
– Il mito del Graal e la citta’ di Torino
Le antiche tradizioni riportano infatti che in tempi
immemorabili, dopo la caduta dell’oggetto celeste, fondendo il metallo di cui
era fatto venne ricavata una grande ruota forata di due metri di diametro che
costituì un riferimento di culto e di cultura iniziatica per le popolazioni di
tutta l’area dove si era verificato il prodigioso evento.
Queste stesse popolazioni costruirono quindi un grande
tempio sotterraneo strutturato sulla pianta di in immenso labirinto, simile al
tempio che costruirono nell’antico Egitto sul Lago Moeris, costituito da
migliaia di stanze collegate tra loro. Al centro di questo labirinto, in una
enorme sala sotterranea, vi posero la ruota d’oro che divenne il centro delle
attività iniziatiche.
Quando, nei secoli successivi, l’Impero romano estese la
sua influenza militare sul Piemonte, sconfiggendo e sottomettendo le
popolazioni locali dei celti-taurini, il culto antico legato alla ruota d’oro
si trasferì decisamente nel labirinto del tempio sotterraneo le cui grotte si
estendevano dall’ingresso della Valle di Susa fino a raggiungere il fiume Po.
Secondo la leggenda, il culto druidico avrebbe quindi continuato ad esistere in
queste grotte e sarebbe ancora presente ai giorni nostri.
L’ingresso principale del grande tempio sotterraneo venne
nascosto seppellendolo, come già fecero i Pitti di Scozia per le loro pietre
runiche, sotto una massa di terra e di pietre che cancellavano la sua
ubicazione.
Al di sopra dell’area dove si trovava il tempio sotterraneo
venne quindi edificato il primo villaggio celtico che si sarebbe poi
trasformato in un castro romano adibito al ristoro e all’intrattenimento delle
truppe imperiali che erano in transito verso le zone nord europee. Della ruota
d’oro non si seppe più nulla e oggi, secondo le credenze popolari, sarebbe
ancora nascosta nel suo luogo originario, nel complesso di caverne che ancora
esisterebbero al di sotto degli edifici della città di Torino, edificata in
tempi successivi agli antichi avvenimenti.
Nel valutare la narrazione del mito del Graal, del racconto
della leggenda di Fetonte e dell’esistenza della città megalitica di Rama, si
comprendono i motivi della sacralità che era attribuita dagli antichi druidi
alla Valle di Susa. Evidentemente qualcosa di molto particolare segnò la storia
delle antiche popolazioni che abitavano il Piemonte, un evento tanto importante
da creare miti e leggende in grado di perpetuarne il ricordo e il significato
che gli fu da allora attribuito.
Forse è proprio da tutti questi eventi straordinari del
lontano passato che ha radici il mito che vuole Torino come una città
particolare posta al centro di un grande segreto di natura storica e mistica e
che apparentemente, di riflesso, ospita da secoli una fucina di libera cultura
e di ricerca posta tra passato e futuro.
Molto probabilmente, dietro a questi miti arcaici relativi
al Vara, “il grande recinto dello spirito”, vi sono anche le ragioni storiche e
culturali che hanno contribuito alla nascita della convinzione che vede Torino
come la città del Graal. Non c’è quindi da stupirsi che le credenze medievali
indichino proprio il sottosuolo torinese come nascondiglio del Graal. Esistono
in proposito cronache del settecento che riportano le testimonianze dirette
dell’esistenza di una rete di gallerie segrete esistenti sotto la città. Questi
stessi racconti citano anche l’esistenza di accessi segreti che sarebbero
situati nelle cantine dei palazzi più antichi di Torino, accessi che conducono
ai sotterranei dove sarebbe nascosto il Graal.
Esiste anche una credenza popolare secondo cui nelle statue
che adornano la chiesa della Gran Madre di Torino, sul Po, sono celati elementi
simbolici segreti la cui interpretazione consentirebbe di avere le indicazioni
che rivelano il luogo esatto della città dove è nascosto il Graal.
Estratto da “La tradizione della Città di Rama e il mito
del Graal”
di Giancarlo Barbadoro e Rosalba Nattero
Les Cahiers du Graal, Luglio 2005
Una leggenda medievale della Valle di Susa narra che in una
caverna segreta, celata in una delle montagne, un drago custodirebbe il Graal